Bagnati fradici

 

Veramente non fui io a prendere l'iniziativa. A quella età ero, come si dice dalle nostre parti, fin troppo  "toppone".

Ma anche la variante "torsolo" mi pare appropriata. Fu lei che, complice la penombra della Terrazza, mi buttò le braccia al collo dopo aver fatto volar via la sigaretta che avevo acceso per darmi un tono da uomo vissuto.

Rimasi talmente sorpreso che fu un bacio a bocca chiusa come il coro della Butterfly. Avevo sentito parlare dai miei amici del "bacio alla francese" secondo il quale avrebbe dovuto avvenire un incontro di lingue ma non mi attentai: avevo troppa paura di apparirle volgare.

Lì c'erano il mare, la luna, le stelle e, soprattutto, c'era lei; la bimba più bella di tutta la mia classe; non potevo rischiare di trasformare la gioia perfetta che provavo, in un suo distacco repentino magari sottolineato da uno schiaffo di cui, all’epoca, le bimbe livornesi difendevano la loro "virtù" dagli approcci maldestri di noi ragazzi dai capelli sempre troppo lunghi.

Mentre le nostre labbra erano sovrapposte da qualche minuto, pensai:- Chi si deve staccare per primo? Ah io no davvero! Per me possiamo restare così anche tutta la notte!

La risposta me la dette il mare. Un'onda più forte delle altre ci inzuppò dalla testa ai piedi. Scoppiammo a ridere e ci abbracciammo più stretti avendo però l'accortezza di spostarci di qualche metro.

Allora la baciai io senza titubanza, senza paure; la baciai alla francese, all'italiana o come fanno sul Pontino, non lo so.

Ricordo soltanto che mi pareva di non essere lì come se la felicità di quel momento ci avesse spostati e portati al largo fin sulle  secche della Meloria.

La baciavo e la stringevo ma non l'accarezzavo, non mi passò neanche per la mente il pensiero di toccarle i seni o i fianchi; tutto in fanciullesca e completa platonicità.

Che attimi sublimi! Che sensazioni profumate! La sua saliva sapeva di sciroppo alla menta (avevamo mangiato un ghiacciolo poco prima!) ma a me venne in mente il nettare degli dei di cui ci aveva parlato la Prof. di italiano.

Era realtà ma era sogno! Erano la mia e la sua giovinezza amalgamate nello slancio vitale della natura. Come si fa a non peccare di retorica descrivendo quei momenti? Chi ci vorrebbe qui al posto mio, Petrarca? Dante?

Si chiama Valeria e non l'ho più dimenticata: tentai di vederla anche dopo quella magica sera ma per lei l'incantesimo era finito. Tornammo sul Viale Italia, bagnati fradici, ci salutammo e non volle nemmeno che l'accompagnassi alla fermata del filobus. Qualcosa si era rotto. In classe, nei giorni seguenti, non mi rivolse mai più la parola nè permise che io accennassi all'episodio.

Vive ancora a Livorno, non si è mai sposata. Qualche volta la incontro all'Ufficio Postale dove andiamo a riscuotere la pensione e provo un senso di fastidio nel vedere come il tempo ci ha trasformati.

Siamo stati troppo belli quella sera! Forse anche lei pensa questo e finge di non riconoscermi. Anch'io amo le rose che non colsi, anche se le spine pungono ancora ma senza far male.

Da quella sera ho rinunciato per sempre a tentar di capire le donne. Il genere umano comprende anche la femmina; l'uomo no.

Era l'estate del 1963, Gino Paoli cantava "sapore di sale" ed avevamo sedici anni!

 

(Luciano Tarabella)

 

 

E zitti, dice, statela a sentir...

 

A Viareggio capita spesso la libecciata furibonda che fa arrivare spruzzi d'acqua marina fin sulla passeggiata. Scaglia le chiome della pineta di ponente mettendo a dura prova i lecci robusti mentre i pini più deboli precipitano facendo anche qualche ferito. Per i ragazzi le libecciate sono un'occasione di gioco. I tronchi si trasformano in attrezzi sui quali trascorrere le ore libere dalla scuola per cimentarsi in prove di forza ed esibizioni di equilibrismo. Organizzano un campionato con tanto di classifica nel quale i più agili primeggiano. Il cimento consiste nel mettersi l'uno contro l'altro a singolar tenzone: lottando, spingendo, avanzando e retrocedendo accanitamente come scoiattoli sul tronco inclinato, risulta vincitore chi riesce a far cadere il proprio avversario. Il più bravo è il Giggio; non è particolarmente robusto, anzi, ma è dotato di un equilibrio superiore; è agile tanto che sembra avere i piedi scalzi incollati alla scorza del pino. Perfino nei momenti critici, quando è lì lì per soccombere, con un guizzo sguscia tra le gambe dell'antagonista e spingendolo alle spalle, lo fa cadere con una bella culata sui pinuglioli umidi e soffici intanto che dal Pino sul tetto, il locale ad un tiro di cerbottana dall'improvvisata palestra, arrivano le strofe delle ultime canzoni del festival di Sanremo. Un pomeriggio di primavera, per quanto abbiano sudato ed unito proditoriamente le loro forze, proprio non riescono a spodestare dal suo piedistallo resinoso il Bongo, un ragazzotto venuto a sfidarli da un altro quartiere. Perfino il Giggio, il campione, è finito col culo sugli aghi morbidi. Col pianto in gola, più per la rabbia che per la fatica degli sforzi inutili, si devono dare per vinti, mentre il Bongo trionfa su di loro seduti in circolo sotto la sua ombra e si batte il petto con i pugni come Tarzan interpretato al cinema dal mitico Jonny Weissmuller che i ragazzi imitano saltando da un ramo all'altro dei lecci. Ad un tratto, come peana di vittoria, il Bongo, pago del podio conquistato, si mette a cantare con una voce così intonata e potente da superare quella degli altoparlanti del Pino sul tetto. Le parole della canzone gli escono dalla gola con un'enfasi ed una dolcezza tali che i bimbetti rimangono incantati ad ascoltarlo. Perfino le ragazze, che di solito giocano per conto loro in una radura vicina non degnandoli di uno sguardo, si sono avvicinate come marinai ammaliati dal canto delle sirene. La canzone ora in voga è: incantatella, lo so che amando la luna tonda, ti fai più chiara, ti fai più dolce, ti fai più bionda... poi seguono altri versi... e si giunge al finale con un dolcissimo: e zitti,dice, statela a sentir... ancora non si è spenta l'eco dell'ultimo irrrr che il sorprendente Bongo, forse pentito dall'aver creato un'atmosfera romantica poco adatta a dei monellacci come quelli o, forse per scandalizzare le altezzose fanciulle che lo ascoltano rapite, beh... lascia andare un... rumoraccio così potente e fragoroso che, dopo qualche attimo di vera sorpresa, tutto l'improvvisato pubblico scoppia a ridere mentre il Bongo si sdraia sui pinuglioli teneri come preso da un attacco epilettico.

Il gran ridere gli parte dallo stomaco ma è così subentrante che non riesce a farlo uscire dalla gola; ride e piange, ride ed affoga, ride e crede di morire. Ride e vede intorno a sé gli altri che sghignazzano senza riuscire a controllarsi nemmeno per respirare, ride intanto che una bambina, anche lei congestionata, è caduta in una buca piena d'acqua e ne esce concia come uno spaventapasseri.

Allora si che tutti, quasi eseguissero una coreografia sincronizzata, prendono a tenersi la pancia ed a ululare. Chi lacrima, chi tossisce e chi si fa la pipì addosso senza ritegno. Non si sa dire quanto dura quella gran risata collettiva, ma di quel pomeriggio si parla per mesi in tutto il quartiere del Marco Polo ed anche nella Viareggio signorile. Così il Bongo diventa, per lungo tempo, l'eroe buffo delle fole che i vecchi raccontano a veglia, al fresco della pineta od intorno alle stufe, secondo le stagioni, a quei pochi che non l'hanno sentita raccontare dai fortunati che furono presenti. E con poco si rinnova l'allegria. Ancora, per fortuna, non c'è la televisione a farli piangere.

 

(Luciano Tarabella)

 

 

La giovane prostituta

 

Eccola, è lei! E' la solita giovane prostituta che incontro tutte le sere. Ha lo sguardo triste, vorrei sapere perché.

Com'è ingiusta questa società! Lei, ancora adolescente, quasi bella ma ormai irrimediabilmente perduta come si trattasse di un'infiorescenza  nel rigagnolo d'una fogna. Ed io, che non resisto, vorrei chiederle da dove viene, chi l'ha ridotta in quello stato così degradante, se ha una famiglia che in patria l'aspetta, magari, chissà, forse un amore...

Quante domande, quali domande, che imbarazzanti domande! Chissà se mi risponderebbe!

Fin troppi interrogativi affollano la mia mente e la mia anima ma questa sera devo avere delle risposte, non resisto più. La curiosità mi possiede e mi avvolge nella sua impellenza. Quasi non fossi più io, come se fosse un altro che agisce per me, abbasso il finestrino nella bruma notturna e mentre mi domando dove sono finiti la carità, la solidarietà e l'amore universali, la chiamo con un psss pss discreto mentre un angoscioso interrogativo dilania la mia più profonda essenza di  uomo. Vorrei sapere cosa pensa di me. Lei si avvicina sui suoi tacchi a spillo sì che pare una farfalla dalle ali bruciate e mentre mi impongo di non guardare nella sua scollatura donde si affaccia un seno acerbo, ben levigato e mantrugiato assai, rompo finalmente gli indugi, invece dei soliti coglioni, e con voce flebile e timorosa, rispettosamente le chiedo: “Scusa, forse non dovrei... ma il preservativo è proprio indispensabile? Non vorrei che il peso mi creasse dei problemi”.

 

(Luciano Tarabella)

 

 

L'arrivo al campeggio

 

“Il convoglio ferroviario, costituito in gran parte da vagoni bestiame stipati di poveri infelici, arrivò in perfetto orario alle quattro del mattino. Appena la locomotiva si fu fermata, le guardie, nelle loro divise brune di T.T. (Truppe del Tempio) di cui andavano fiere, cominciarono a berciare ordini dopo aver aperto i vagoni dai quali uscì il degradante fetore di umanità prigioniera. Il viaggio era durato ottantasei ore ed i passeggeri forzati avevano dovuto affrontarlo in condizioni inimmaginabili.

Quei pochi che riuscirono a saltare giù dalla prigione viaggiante con le proprie gambe, presero a dissetarsi furtivamente con la neve prendendo i primi brutali colpi di bastone sulle spalle.

Le guardie T.T. approfittarono subito di quella selezione spontanea per comandarli alla prima corvée della giornata che consistette nel togliere dai vagoni le salme di coloro che non erano sopravvissuti al trasferimento, soprattutto vecchi e bambini.

Ci furono così padri e madri che dovettero ammonticchiare i cadaveri dei loro bambini; figli che accatastarono madri, fratelli e sorelle gli uni sulle altre, con la semitica precisione richiesta mentre gli ordini giungevano da tutte le parti senza dar loro nemmeno il tempo per piangere.

Fu in quel preciso istante che tutti i deportati compresero che era cominciato lo sterminio del popolo ariano.

Quando tutti i passeggeri furono scesi, gli aguzzini ordinarono loro di dividersi: da una parte le donne ed i bambini, dall’altra gli uomini finché al centro dei due gruppi si pose un ufficiale medico che, dopo una sommaria occhiata, li divise ancora: un gruppo doveva schierarsi a destra, un altro a sinistra e chi, uomini, donne, bambini e bambine che fossero, si lamentava di quella separazione con urla e pianti disperati, veniva messo a tacere con bastonate impartite con sistematica fredda indifferenza.

Alla fine il gruppo di destra fu ulteriormente diviso in uomini e ragazzi, mentre le donne venivano incolonnante e fatte marciare verso altra destinazione. Intere famiglie vennero separate per sempre. Mentre il Cielo, la Natura ed il resto dell'Umanità avevano certamente gli occhi rivolti altrove, dalle alte ciminiere cominciarono a vedersi bagliori d’inferno e dal cielo fluttuava una neve mai vista.”

 

Mi sveglio repentinamente sentendo in gola un acre sapore di carne bruciata. La sera prima al ristorante mi sono abbuffato di una bistecca alla fiorentina gigante che si è indubbiamente vendicata aggrovigliando il mio subconscio in quell’incubo degno di una sceneggiatura cinematografica simile ad una lista di Schindler alla rovescia. Per quali oscure vie i neuroni del mio cervello sono giunti ad architettare una nemesi tanto feroce?

Eppure, a pensarci bene, sarebbe atroce vedere dei semiti nazisti che, dopo essere usciti dalla Sinagoga, deportano nei campi di sterminio teutonici alti, belli e con gli occhi azzurri magari facendo azzannare da cani di razza ”pastore israeliano” coloro che resistono e non vogliono salire. No, non facciamo scherzi! La storia, di solito, non si vendica; comunque non sarebbe con sei milioni di puri ariani sterminati che i piatti della bilancia si livellerebbero. Forse solo una pace mondiale duratura lo potrebbe.

Mi alzo e mi accendo una sigaretta che getto via subito. Per quella mattina mi fa star male ogni cosa che brucia.

 

(Luciano Tarabella)

 

 

Vag Bond

 

 Scusatemi se mi presento da solo: sono il fratello quasi gemello dell'Agente 007 James Bond; mi chiamo Vag, Vag Bond e sono Cavaliere del Lavoro.

La mia vita è una soap-opera! Mia madre fu violentata dal suo insegnante di  religione ma siccome non aveva i soldi per levarsi il pensiero, per risparmiare, si liberò di me dentro un tombino dopo avermi dato alla luce durante un black-out. Fui trovato da un operaio che puliva le fogne. Mi prese, mi cullò fra le sue possenti braccia di lavoratore, mi dette un buffetto sulla guancia e siccome puzzavo più di lui, mi buttò direttamente in un cassonetto. E' stata l'unica persona che abbia dimostrato un po' di comprensione nei miei confronti. Ripescato dal cassonetto, fui portato all'orfanotrofio dove mi insegnarono a leggere a furia di botte. Cos'è questa? Una z? No, è una esse come schiaffo, questa è una p come pedata e questa una c come calcio nel sedere. Negli studi non riuscivo ad applicarmi bene così come ho sempre avuto difficoltà nel mettermi i cerotti sulle ferite. Gli esami di quinta elementare li ho dati in sala rianimazione e fui promosso perché con un fil di voce riuscii a dire: t come tenda ad ossigeno. Finalmente riuscii a fuggire dall’orfanotrofio e trovai un buon impiego come sotto-aiutante lavavetri precario: il mio capufficio era un polacco un po' ubriacone ma io ero contento, avevo una bella scrivania presso il semaforo della stazione ma riuscivo a fare tre pasti alla settimana tanto che ingrassai fino ad arrivare a pesare ventisette chili che per un ragazzo di quattordici anni non è male. Il lavoro che dovevo svolgere non era pesante: dovevo piazzarmi davanti alle macchine, poi veniva il polacco, mi prendeva per le orecchie e mi faceva strofinare la faccia contro il cristallo.

Venivano puliti a meraviglia! Poi però venni licenziato per riduzione di personale: allora, nonostante la buona educazione ricevuta e le ottime compagnie frequentate, finii su una cattiva strada. Mi misi a scippare le vecchiette di novant’anni ma non riuscivo a guadagnare un euro perché le vecchiette mi riacchiappavano sempre e mi picchiavano a sangue ma, poiché non ne usciva una goccia tanto ero anemico, si incazzavano fino alle lacrime facendomi menare a pagamento dai teppisti di passaggio. Alfine fui messo in prigione ma siccome sgusciavo benissimo fra le sbarre a causa della mia magrezza, i poliziotti non mi arrestavano nemmeno più, mi prendevano direttamente a schiaffi anche se giuravo loro di saper leggere benissimo. Un giorno, mentre scippavo dei lecca lecca a dei bambini di tre anni, una ragazza mi rincorse e mi troncò l’ombrello sulla testa. Fu un colpo di fulmine! Ci innamorammo perdutamente, ma così perdutamente che ci siamo persi di vista per sempre.

Da allora l'amore per me è sempre stato un fatto artigianale: orgasmi ottenuti finemente a mano. Saranno state le botte ma ora mi sento così rincoglionito che potrei essere dichiarato incapace di intendere e di volere, soprattutto, un po’ di pace. Io lo so perché sono venuto su così male: come si dice sempre in questi casi, la colpa fu della mia famiglia e nemmeno la scuola si dedicò al meglio per la mia educazione, ma io sono contento ugualmente. Credo che finirò sciolto nell’acido davanti ad una donna delle pulizie che si scioglierà in lacrime ridendo.

E per quanto ho vissuto fin qui, ringrazio tutti gli dei, ma proprio tutti. Non vorrei avessero a litigare per questo! La vita è bella!!!

 

(Luciano Tarabella)

 

 

La catenella d’oro

 

“L'assassino torna sempre sul luogo del delitto. Immane cavolata!” pensò “ci tornerei solo per controllare se è veramente morta ma non credo che sia sopravvissuta alla bastonata che le ho dato in testa. Ce l'aveva dura, questo è vero, ma posso stare tranquillo, anche quella mazza da baseball non aveva niente di tenero, anzi. Incredibile come bruciano bene le mazze! Appena l'ho messa nella stufa ha dato un crepitio allegro. Mi è mancata, però, la feroce strafottenza di accenderci una sigaretta, dopo tutto non sono Barbablu, sono un assassino ancora alle prime armi. Anzi, alle prime mazze!”.

Si mise a ridere imitando Gambadilegno, con degli "argle argle" copiati direttamente dai fumetti, stratagemma umoristico che faceva sempre ad uso e consumo dei suoi amici e compagni di buco.

"Povera donna, come rompipalle non era da medaglia d’oro ma da podio senz’altro. E poi faceva delle lasagne niente male. Se solo non avesse minacciato di denunciarmi per quella striminzita catenella d'oro... era un ricordo di mio fratello ma che bisogno c'era di ricordarlo? Era un babbeo da museo; roba che i turisti giapponesi sarebbero corsi a frotte per fotografarlo e poter dire, agli amici rimasti a Nagasaky: abbiamo visto in Italia un cletino ollendo! O sono i cinesi che non hanno la erre? E chi se ne frega, tanto ha avuto il buon gusto di tirare le cuoia anche lui.

Ho racimolato 20 euro con quella catenella; non mi sono bastati nemmeno per una dose intera. Oggi la vita è cara per tutti! A me il metadone non è mai piaciuto. Perché non se lo prendono loro? Ce ne sono tanti di tossici e di tipologie diverse. Ci sono i ciccioni che vanno ad abbuffarsi al ristorante, quelli che speculano in Borsa e appena l'indice cala se la fanno addosso, quelli che adorano la gnocca anche se sono nella fossa fino all'anca... e potrei continuare fino a domani! Sono molto più onesto di loro. In fin dei conti faccio scempio del mio corpo e del mio cervello ma non faccio del male a nessuno… si, d’accordo, ho steso mia madre ma tanto era malata e quindi le ho fatto un piacere. Mi pare si chiami eutanasia. Si proprio così. Potendo mi ringrazierebbe, per farlo, però, dovrebbe prima sapere chi l’ha randellata ma non è ha avuto il tempo. Certo nella mio stato di tossicodipendente sarò il primo ad essere sospettato e non ho un vero è proprio alibi ma quale tossico può averlo se di solito siamo fuori di testa ventiquattro ore su ventiquattro? Basterà esagerare un po’, mostrarsi indifferente ed inconsapevole, come potrebbero arrivare a me senza prove? Che mi sospettino pure! Cerchino pure il modo dir incastrarmi non troveranno niente: nessuno ci ha visti, la mazza incenerita, impronte zero...voglio proprio vedere.”

“Alzati! Le lasagne sono pronte in tavola!“

 Il grido lo fece trasalire. Si alzò a fatica dalla brandina e solo dopo aver ficcato la testa sotto il rubinetto del lavandino e fatto scorrere l’acqua fredda riuscì a riconoscere la voce della madre. “Che cazzo di roba mi sono fatto questa volta? Non mi era mai successo di sballare tanto! Allora è stato tutto un sogno, non l’ho uccisa! Devo avere proprio il cervello a pezzi per farneticare così!

Si avviò verso la tavola barcollando e capì che era stata soltanto una sua allucinazione dovuta alla droga quando vide il bagliore di luce riflettersi sulla catenella d’oro esattamente dove era sempre stata: al collo di sua madre.

Dopo che ebbe finito l’ultimo boccone di lasagne, il tossico si girò verso di lei. Era molto più lucido ora, avrebbe voluto alzarsi per abbracciarla, ma poiché la donna aveva le mani occupate dai piatti sporchi che si accingeva a riporre nel lavello, si limitò a dirle: “Va bene mamma. Se mi accompagni tu, domani torno in comunità. Se mi stai vicino questa volta vedrai che ci riuscirò. Ce la metterò tutta. Te lo giuro sulla tomba del mio povero fratello”.

La donna non rispose subito. Si mise a lavare i piatti girandogli le spalle. Attese di essere sicura che la sua voce fosse ben ferma e si voltò per raccogliere una forchetta che le era caduta. “Bene – disse - dammi la mano e vieni con me in camera. Prepariamo la tua roba e poi ci beviamo un caffè d’orzo!”

 

(Luciano Tarabella)

 

 

Le bistecche in italiano

 

Poi vogliono dire che non siamo nella civiltà dello spreco, accidenti a mio cugino Pilade che sostiene d’essere un morto di fame perché non ha più una lira ma soltanto qualche milione di euro!

Un sabato dell’estate scorsa la mia signora mi fa:Togli quel chilo e otto di bistecche dal congelatore e mettile nel frigo basso che le portiamo al mare!”

Lì per lì, che fa lì alla seconda, penso: "Ha ragione; anche loro si devono svagare, poverine, stanno sempre in casa" poi capisco che si tratta della cena. Ma siccome ci sono le partite in televisione, dopo averle spostate, mi scordo di portarle a Tirrenia. Non l'avessi mai fatto! Ci si mette anche mia figlia a brontolarmi; la cosa più affettuosa che mi dicono è che ho l'arteriosclerosi, meno male che poi si chetano quando le conduco a cena al ristorante dove spilluzzichiamo qualcosa, così per tenerci leggeri. Alle due e un quarto di notte, quando i camerieri, madidi di sudore, incominciano a spegnere le luci per farci capire che sarebbe l'ora di levarci di torno, siccome non è possibile dormire in cabina perché le amache verticali non le hanno ancora inventate, torniamo a casa lasciando il debito col proprietario perché mi sono dimenticato nel frigo il portafoglio, di vera plastica, forse, proprio accanto alle bistecche.

Dopo aver schiacciato tutti un sonnellino fino al mezzogiorno e mezzo della domenica, la mia signora, invece di darmi il buongiorno mi fa:

- Ho fame, mi ci andrebbe una bistecca!, e si precipita in cucina dove caccia un urlo che mi fa rabbrividire. "Accidenti, penso, non avrà mica visto Gad Lerner alla televisione? Quello, a digiuno, è pericoloso!"

Corro in cucina pronto a tutto, perfino a pagare volentieri la tassa sulla spazzatura, e vedo mia moglie mezza svenuta sulla seggiola e la seggiola che la sostiene più svenuta di lei...

Il frigo è aperto e spento e un puzzetto di ciccia marcia invade anche il tinello. Insomma, a farla corta, è successo che la spina del frigo è stata staccata probabilmente dalle gattine che di giorno dormono ma la notte si rincorrono sui mobili buttando per terra tutte le inutili cianfrusaglie che i parenti ci regalano per Natale. Meno male che il mio portafogli, di vera plastica, pur se con i soldi impiastricciati di margarina che avrebbero fatto schifo a toccarli con le pinze, è lì proprio accanto alle bistecche che, con la calura estiva, hanno preso un colorino amaranto da curva degli ultràs. Appena che la mia consorte ha ripreso fiato, va a svegliare la bimba e insieme riprendono a dire che è tutta colpa mia e che ho l'Alzeimer terminale e lì comincia il consueto accenno di litigata che di solito non si dilunga oltre le due ore consentite dal diritto di famiglia. Il resto lo potete immaginare:

a voti unanimi, però con la mia astensione che non conta nulla ma che pretendo sia messa a verbale, decidono di tornare a Tirrenia al medesimo ristorante.

Perciò, alle diciassette, siamo di nuovo a tavola. I camerieri, che ormai ci conoscono e ricevono laute mance dai turisti che, dagli stabilimenti balneari contigui, vengono a fotografarci mentre spilluzzichiamo qualcosa, tanto per tenerci leggeri, ci servono la merenda perché a quell’ora, non c'è da pretendere altro se non pizza con contorno di pizza. Quando mi presentano il conto, altra litigata con il proprietario perché si intestardisce a non voler prendere i miei soldi unti bisunti. Meno male che poi tutto s'aggiusta con la carta di credito che, anche se sdrucciola nella macchinetta perché fetida di mascarpone, dopo averci ammattito un paio d'ore, riusciamo a pagare il conto anche della sera precedente. Alla fine, stanchi e stomacati, torniamo verso casa. Non c’è nemmeno bisogno d'aprire l'uscio; dentro ci sono già i Pompieri che, chiamati dai vicini a causa del fetore delle bistecche marce, rimaste lì dove l'abbiamo lasciate, sono entrati convinti di dover traslocare il solito vecchietto morto in solitudine da quindici giorni.

Alfine, ripuliti cucina e frigo, disinfettato l’appartamento dalla cantina alla soffitta, esaurita una dozzina di flaconi di deodorante che puzza più delle bistecche marce, andiamo tutti a letto dal quale mi devo ben presto rialzare per mettere portafoglio, di vera plastica, denari e carta di credito in lavatrice altrimenti non riusciremmo a prendere sonno. Da quella drammatica domenica, ci siamo convertiti al baccalà che perlomeno sa di lezzo per conto suo solo se preventivamente ammollato. Però cattivi odori in casa non ne abbiamo più sentiti, tranne quando, due mesi fa, mi dimenticai di chiudere il gas e ritrovammo i Pompieri, annoiati e furiosi, ad aspettarci in salotto e, per calmarli, dovetti regalare, a tutti loro, un portafoglio, di vera plastica.

 

(Luciano Tarabella)

    

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