Forte Giarabub

 

La sabbia era Regina e Regno. Il Fortino ne faceva parte: Mura di sabbia, casermette di sabbia, acqua di sabbia, uomini di sabbia.

Il Comandante Maggiore De Menza, di sabbia anche lui, ma con un massiccio corpo da montanaro e nero come un turco, comandava quel Fortino da sei mesi, e da cinque era assediato dai nemici.

Come faceva ormai da molto tempo, egli due volte al giorno, mattina e pomeriggio, si recava sugli spalti del forte e controllava la situazione. Oggi era il turno pomeridiano e lo spalto era quello Ovest; gli stava al fianco il giovane Tenente Pazienza, ventunenne, biondo slavo, fisico da tisico e nella vita studente in medicina. Il Maggiore con fiero cipiglio, staccando gli occhi dal binocolo, con il quale vedeva e scrutava sabbia, sabbia e solo sabbia, disse al subalterno:

-         Tenente sabbia, cioè Pazienza, tenetelo sempre ben presente: quando il nemico attacca, attacca sempre con il sole alle spalle!-

-         Sissignore, lo terrò sempre presente.- rispose il giovane sbirciando ad ovest.

-         Bravo! – disse il Maggiore accorgendosi del moto istintivo del suo subalterno - Questo perché siamo di pomeriggio, se fossimo di mattina, noi saremmo sulla spalto ad Est, da dove ci verrebbe, presumibilmente l’attacco.

E adesso fatemi il rapporto pomeridiano, per favore.- e riprese a scrutare la sabbia.

Il giovane ufficiale, lasciò pendere il binocolo sul petto, prese degli appunti e lesse:

-         Uomini idonei trenta; feriti lievi uno; ammalati per dissenteria trentuno più uno.- Fatto ciò, iniziò a lacerare e a strappare gli appunti minutamente e incominciò a mangiarseli (come stabiliva il regolamento sulla sicurezza militare in tempo di guerra).

-         Chi sarebbe l’uno? – chiese il Maggiore.

-         Io, signore.- rispose il Tenente tenendo gli occhi bassi.

-         Bene, allora fate trentadue più uno: me! E speriamo che non vi vada di traverso.- celiò il Comandante vedendo che il giovane aveva gli occhi rossi e quasi di fuori, mentre tentava d’ingoiare la cartaccia d’imballaggio dove aveva scritto il resoconto.

Il tenente, finalmente e con sollievo riuscì nell’impresa distruttiva- digestiva, lo guardò con aria di immensa riconoscenza quindi continuò il suo rapporto.

-         Certo signore, grazie signore. – e con un ultimo colpo di tosse riprese il controllo di se - Dunque: Munizionamento per tre giorni di fuoco; viveri: razione ridotta a solo galletta, giorni uno; acqua: razione dimezzata della ridotta, giorni tre; morale buono.- concluse guardando tristemente l’altro pezzo di cartaccia e che diligentemente iniziò ad ingoiare.

-         Fate un cifrato e inviate i dati, che avete, disciplinarmente, testè mangiato, al Supercomando; ma concludete così: Urgono rifornimenti, dateci istruzioni. Stop.-

-         Agli ordini! – rispose il subalterno scattando sugli attenti.

-         Riposo. Andate. Ah, per il futuro, vi esento dal farmi rapporti per iscritto. Grazie. Andate pure, Tenente.. Pazienza.- concluse il Maggiore riprendendo la sua osservazione della sabbia del deserto sempre deserta, ma non tanto.

Infatti tra la sabbia, nella sabbia, con la sabbia, che come vapore quasi si elevava nell’aria, opaca o lucente a seconda della luce che rifrangeva, il suo occhio esperto scorse le camionette nemiche: erano a quasi due miglia, valutò; e intanto borbottò rassegnato:

 -    Eccoli là! Puntualmente! E tra poco, quando il sole sarà all’orizzonte, attaccheranno.  

Maledette camionette. Apriranno il fuoco con le loro stramaledette mitraglie da 12              millimetri a tiro lungo, e noi faremo finta di non accorgercene… tanto         con le nostre 7    millimetri e con moschetti 91, non ci rimane altro che aspettare… aspettare che facciano    qualche passo falso, anzi, qualche passo in più, per averli anche noi a tiro.-

Alle spalle del Maggiore, che fremeva di rabbia, un soldato di sentinella, udì il bofonchiare di rammarico del suo Comandante, e vedendo a occhi nudi le camionette nemiche, disse:

-         Signor Comandante, se avessimo le nostre mitragliatrici modificate come il moschetto del Caporale Bonanno, gliela faremmo smettere di giocare con noi al gatto col topo.-

-         Già, se avessimo…- rispose il Maggiore riprendendo l’osservazione. Ma poi ci ripensò, lasciò cadere il binocolo sul petto e guardò il soldato inquisitoriamente – Soldato, rinfrescami la memoria, com’è il moschetto del caporale come si chiama?-

-         Bonanno, Salvatore Bonanno, signor Comandante.- rispose prontamente il militare.

-         Bonanno, certo, certo. E dimmi, com’è questo moschetto?-

-         E’ un moschetto come il mio, modello 91, ma egli, il caporale Bonanno, che da borghese faceva il meccanico, l’ha modificato.-

-         Ne ha fatto un’arma fuori ordinanza?-

-         Beh, non proprio. Fuori fuori, no. E’ come il mio, almeno all’apparenza. Ma – e il sodato impallidì pensando d’aver tradito il commilitone - ma non l’ha fatto apposta, non l’ha fatto per male, signor Comandante, vi prego non punitelo. Mannaggia a me, mi mangerei la lingua…- concluse amaramente il militare.

-         Ma che punire d’Egitto. Non dire sciocchezze soldato. Qui siamo al fronte e il tuo caporale Bonanno chissà dove sarà a quest’ora… Anzi, sai cosa ti dico? Che sarei contento se lo avessi con me, qui, ai miei ordini, in questo momento.- concluse Demenza riprendendo ad osservare la sabbia.

-         E lo avete, signor Comandante. Anzi è qui – rispose il soldato indicando un caporale che passava sotto lo spalto in quel momento.

-         Caporale! – lo chiamò marzialmente il Maggiore dall’alto dello spalto e della sua autorità – Vieni su e porta quel tuo moschetto.-

Il caporale Salvatore Bonanno, trentenne, bruno, tarchiato; sudato, impolverato, occhi arrossati dalla lunga guardia sullo spalto accanto, col fucile a spall’arm, dando un’occhiataccia al commilitone, agilmente salì e scattò sugli attenti. 

-         Comandi, comandante.-

-         Riposo, caporale. Fammi vedere quel moschetto.-

-         Eccolo, signore. – disse il caporale imbracciando l’arma di scatto e lanciandola, come si usa fare tra gente d’azione, rude, efficiente e rotta a tutti pericoli della guerra. 

-         Bravo soldato! – disse il De Menza, afferrando l’arma con disinvoltura, evitando per un nulla  che l’arma gli scivolasse sul basso ventre; quindi la esaminò, la caricò, la scaricò, ne controllò il puntamento, ne accarezzò il calcio e, nello stesso modo, la restituì al soldato – Ebbene, Caporale, cosa hai fatto a quest’arma?-

-         Chi, io?-

-         Si tu! E parla, non fammi perdere tempo, so tutto!-

-         Tutto, tutto?-

-         Tutto! E, per tua informazione, disciplinalmente non m’importa un fico secco.-

-         Ah, se è così – disse Bonanno sollevato e guardando amorevolmente il suo fucile – Vedete, signore, io ho solo modificato il mio moschetto a scopo di legittima difesa.-

-         Legittima difesa? Non capisco caporale.-

-         Signore, al mio paese dicono che il coltello più lungo arriva prima alla pancia. Cosicchè, ho pensato: se io, putacaso, sparo per primo e colpisco più lontano, ho più possibilità di portare la pelle a casa…- e facendo una pausa significativa, accarezzò la sua arma, poi riprese a parlare con calma - Signor comandante ho ideato una modifica meccanica che permette al mio moschetto di colpire più lontano… - e dopo un’altra pausa e una ulteriore carezza al moschetto, concluse – tutto qui, signore.-

-          Lontano... Quanto? – chiese il Maggiore, sempre più interessato.

-     Lontano anche un miglio.- rispose sospirando il caporale.

-         Sono balle? - Chiese il superiore guardandolo severamente.

-         E’ la verità.-

-         L’hai collaudato?-

-         Si, ma mai sul nemico.-

-         Un miglio, hai detto…- e intanto si lisciava il mento significativamente.

-         Sissignore.-

-         Sei tiratore scelto? – chiese il Comandante con tono amichevole.

-         Non ufficialmente, ma colpisco una “nichela” a cento passi.-

-         Saresti disposto a darmene una dimostrazione?-

-         Quando volete.-

-         Tra poco allora, e non tirerai ad una monetina. Resta qui con me ragazzo e lasciami pensare. – qualche secondo dopo disse di scatto - Hai le munizioni?-

-         Quelli d’ordinanza, oppure…-

-         Oppure.-

-         Ho cinque cartucce.-

-    Bene, fra poco sapremo se sei un genio o un impostore. Intanto parlami di queste modifiche, può darsi che interessino Supercomando.-

-         Signor Comandante, col dovuto rispetto per la vostra persona e con tutta la subordinazione per il vostro grado, non posso parlarvene. E’ un mio segreto professionale che mi porterò con me nella tomba.-

- … e ci andrai presto, insieme a tutti noi, se quel tuo coso non funziona col nemico. Ed eccolo lì. – disse con un gesto rassegnato e triste, indicando la sabbia ad ovest – Tromba, suona l’allarme! Tu, Bonanno, sapresti valutare la distanza di un obiettivo nel deserto? Sapresti dirmi, con sicurezza, quando l’avresti a tiro e quindi fare fuoco a colpo sicuro?-

-         Signorsì.- gridò Bonanno che, non essendo stupido, aveva capito cosa pretendesse da lui il suo Comandante.

-         Bene, caporale, allora prendi questo binocolo e guarda verso il sole. Vedi quelle due camionette?-

-         Le vedo signor Maggiore.-

-         Riesci a vedere gli autisti?-

-         Sissignore, li vedo tutti e due.-

-         Benissimo. Allora caporale, quando riconosci d’averli a tiro, fai fuoco su uno dei due.-

-         Signorsì! – gridò Bonanno prendendo da una tasca una cartuccia e infilandola nell’otturatore e caricando l’arma, quindi con dolcezza disse – Pronto comandante.-

-         Tenente! – Gridò il Maggiore – fate salire tre uomini armati di moschetto 91 con la pallottola in canna.-

-         Subito Comandante.- gridò il Tenente; poi rivolgendosi ai fanti che aspettavano ordini  nello spiazzale – voi tre – e indicò i primi della fila – salite sugli spalti con l’arma carica.- I tre eseguirono prontamente, quindi il subalterno disse al suo Comandante – Comandante la squadra è in posizione. Aspetto ordini!- e rimase a guardarlo perplesso.

-         Bene Tenente, questi sono gli ordini: Non appena i nemici si saranno avvicinati a circa un miglio, il caporale Bonanno sparerà, i tre fanti, contemporaneamente, dico contemporaneamente, dovranno anch’essi sparare in direzione del nemico. Tu Bonanno, se puoi, avvertili prima di premere il grilletto, desidero che gli spari  avvengano all’unisono. Avete capito?-

-         Signorsi.- disse Bonanno con un filo di voce, mentre s’aggiustava l’arma per la mira.

-         Signorsi! – disse il Tenente e quindi guardando i  tre fanti – Voi pronti a far fuoco.-

I minuti passavano lenti come il calar del sole, e gli uomini in agguato, sudavano per il caldo ma di più per l’altissima tensione che in quel momento li permeava tutti: era la prima volta che si tentava di reagire alle sopercherie nemiche.

Passarono pochi minuti e le camionette, zigzagando tra le dune, operavano per appostarsi nel modo migliore per far fuoco di disturbo giornaliero sul fortino e per far godere agli equipaggi l’immancabile spettacolo pirotecnico.

Il nemico sapeva che dal forte non avrebbero risposto al fuoco; come sapeva che con quella sparatoria crepuscolare esso voleva solo dimostrare, a quelli lì dentro, che stava lì fuori, da assediante, e che poteva colpirli come e quando voleva. E, bontà sua, se non lo faceva era soltanto perché reputava non necessario rischiare la vita dei propri soldati per prendere un Fortino così insignificante tatticamente, figuriamoci strategicamente. Sapeva aspettare, lui, tanto l’avrebbe preso, prima o poi.

E i comandanti delle camionette eseguivano i relativi ordini con qualche variante beffarda, - almeno così la pensavano i soldati di De Menza.

I mitraglieri avevano appena  iniziato a gingillarsi con le loro calibro 12, quando dal  Forte partì una salva di moschetto 91 che lacerò l’aria come un secco tuono estivo. Passarono pochi attimi e l’autista della camionetta numero uno si accasciò sul volante con un foro rosso sulla fronte. Il mezzo sbandò e rimbalzando su di un masso, si coricò pesantemente sulla sabbia, di fianco. Le ruote ancora giravano, quando dalla vettura uscirono due soldati, uno dei quali ferito alla gamba, presumibilmente rotta. Il comandante dell’altra camionetta, prudentemente la mise al riparo di una duna, aspettando gli eventi. E gli eventi furono: che sui soldati colpiti e fuggitivi, nessun colpo venne sparato dal Forte e che fu permesso alla camionetta superstite di raccogliere i due uomini e fuggire – anzi di tornare alla Base.

Dal Forte si levò un grido d’euforia e di liberazione: la dignità dei soldati era riscattata e il nemico, per il momento, si ritirava con le pive nel sacco.

-         Fate una sortita Tenente.- tuonò De Menza con voce sicura, ma venata di una sottile emozione – e portatemi quella camionetta con quella magnifica mitragliatrice. Perdio! - poi alla presenza di tutto il personale encomiò Bonanno e i tre fucilieri.

Ma purtroppo per lui, mentre la camionetta nemica fu recuperata e messa in efficienza, la mitraglia, impattando violentemente al suolo sotto il peso del mezzo, risultò seriamente danneggiata  e, nonostante la mano magica di Bonanno, non fu possibile renderla operativa. 

-    Sfortuna ladra!- Commentò Bonanno tra i denti.

 

-         Come colpiti? E da chi, da che cosa? – chiedeva incredulo il Colonnello al Sergente comandante della pattuglia delle camionette.

-         Colpiti da non so cosa, Sir. Il mio autista è rimasto stecchito e la camionetta si è ribaltata, Sir.-

-         Ma avete controllato il morto? Avete visto di che proiettile si trattava? Di che arma?-

-         No, Sir, ci siamo messi subito in salvo. La camionetta gregaria ci ha presi a bordo e siamo tornati subito alla base.- disse il Sergente guardandosi le scarpe.

-         Potete andare, grazie.- concluse il Colonnello vivamente contrariato.

-         Una cosa, Sir, col vostro permesso.- sussurrò il sottufficiale. 

-         Dite.- rispose secco il Comandante.

-         Il nemico, Sir, ci ha consentito di metterci in salvo…-

-         Il nemico?- domandò l’Ufficiale con aria disgustata.

-         Si, Sir. Non ci ha tirato addosso quando abbiamo tentato di raggiungere l’altra camionetta, e uno dei miei era gravemente ferito alla gamba. Questo dovevo dire, Sir.-

-         Grazie, potete andare – disse il comandante, poi girandosi verso i suoi collaboratori – Che ne pensate?-

-         Hanno un’arma nuova, Comandante.- disse il capo di Stato Maggiore.

-         Senza alcun dubbio.- gli fece eco l’Aiutante in Campo.

-         Non sono sicuro.- rispose il colonnello passeggiando, riflettendo e fumando la immancabile pipa – Sono circondati, come l’avrebbero avuta? Non sono sicuro… poi, quella generosità mi puzza.-

-         Generosità Sir? No, quelli sono un po’ pazzoidi… per loro natura. Ma chissà se forse il caldo…- disse l’Aiutante in Campo

-         Ad una nuova arma non ci credo neppure io. Sarà stato un caso… un colpo vagante.- disse timidamente il Capo di S.M.

-         Caso o non caso .- disse l’Aiutante inviperito – dobbiamo dagli una lezione, Comandante. Non debbono passarla liscia. Che? stanno alzando la cresta?-

-         Forse, forse – borbottava il Comandante, poi rivolgendosi al Capo di S. M. – però domani farete uscire di pattuglia una camionetta munita di cannoncino al comando di un Ufficiale. Desidero che mi fornisca un dettagliato rapporto sull’operazione, quindi deve tenere gli occhi bene aperti.-

-         Comandante – riprese l’Aiutante – dalle intercettazione di un loro radiomessaggio cifrato evince che sono allo stremo delle loro forze e risorse. Un nostro colpo ben assestato potrebbe determinare l’immediata caduta del Forte. Ed è più onorevole conquistare un obiettivo che aspettare la sua caduta del nemico per fame.  Qualche autoblindo risolverebbe definitivamente il problema.-

-         Le autoblindo servono per altre operazione al fronte, dovrebbe saperlo. Comunque ritengo che una piccola lezioncina se la meritano e noi gliela daremo.

      Date gli ordini che ho testè disposto, e in più, ordinate all’Ufficiale di martellarli col                   cannoncino e questa volta per benino, grazie. Ah… e ditegli di recuperare quel mezzo danneggiato. Grazie.

 

Il giorno dopo, al tramonto, le camionette nemiche furono avvistate dal Forte a circa due miglia a ovest.

Fu dato subito l’allarme, e tutti gli uomini si recarono sugli spalti per vedere i risultati dell’accoglienza che il Maggiore De Menza aveva loro preparato.

Egli aveva studiato, a tavolino, un piano perfetto – diceva – per cogliere il nemico di sorpresa. E il piano era il seguente: La camionetta recuperata con a bordo il Tenente Pazienza, il caporale Bonanno e un autista, si sarebbe dovuta appostare, per tempo, a cinquecento metri dal Forte, tra le dune, e lì aspettare, in agguato,  che il nemico si facesse vivo. Non appena questi fosse stato avvistato, il mezzo si doveva portare nella posizione ideale, d’attacco, poi si doveva fermare, dare il tempo a Bonanno di mirare all’autista di una camionetta e sparare, quindi fuggire velocemente verso il Forte. Fine.

Il nemico, intanto, quando fu a un miglio e mezzo dal Forte, aprì il fuoco col cannoncino montato sulla camionetta di testa,  che procedeva zigzagando e si fermava solo pochi secondi per sparare rapidi colpi. I primi tiri d’assaggio furono subito seguiti da altri che centrarono il piazzale della Bandiera.

I nemici erano tutti intenti all’operazione bellica e si accorsero della camionetta di Pazienza, soltanto quando questa era a soli novecento metri da loro - e Bonanno  già in posizione di tiro.

Il colpo partì immediatamente e il micidiale proiettile colpì l’autista del mezzo nemico proprio fra gli occhi. La camionetta, come la precedente, sbandò e si rovesciò. L’altra camionetta d’appoggio, forse presa dal panico, fuggì nel deserto verso le proprie linee.

Pazienza si accostò al vicolo, constatò la morte dell’equipaggio, quindi recuperò il mezzo e lo portò al forte.

Era la prima vera vittoria del Fortino soprannominato “Giarabub”. Ma quando il Tenente fece il proprio rapporto al Comandante, questi era di umore veramente nero.

-         Guardi – disse secco al povero subalterno che lo guardava sbalordito . guardi – e intanto gli mostrava un messaggio – legga, legga.-

-         “Impossibile rifornimenti. Resistenza a discrezione.” E con quali mezzi?- si chiese Pazienza.

-         Inventiamoceli! – tagliò corto De Menza.

 

Al Comando nemico erano sconcertati. Non capivano da dove provenisse l’offesa, quale fosse l’arma micidiale, chi la usasse così bene.

-         Sparano a casaccio.- si affannava a sostenere il Capo di S.M.

-         No, sanno chi colpire! – ribatteva l’Aiutante.

-         Signore, se mi permette, suggerirei di far intervenire l’Aviazione.- disse timidamente il Tenente che aveva comandato la spedizione.

-         Certo, l’Aviazione! Altre perdite umane sarebbero intollerabili.- ringhiò l’Aiutante.

-         Signori, per un obiettivo di così scarsa importanza dovrei chiedere l’intervento dell’Aviazione? Ma via…- disse il comandante infastidito.

-         Sir, - intervenne l’Aiutante – un solo velivolo basta per raderli al suolo. Mi permetto di rammentarle che non ha la disponibilità delle autoblindo e i mortai sono senza munizioni.-

-         E va bene. Vada per  l’aviazione, – accondiscese il comandante – pensateci voi per gli accordi.

Il giorno seguente un velivolo da ricognizione sorvolò il Forte Giarabub mantenendosi fuori tiro e facendo numerose fotografie. La mitraglietta del forte emise una breve scarica- pro forma e tacque.

Il Maggiore De Menza capì la nuova mossa del nemico e andò ai ripari: fece un nuovo piano di difesa che comunicò al Tenente durante una riunione serale.

-         Tenente – gli disse – mi aspetto, a breve scadenza, un attacco aereo, quindi formate tre squadre di fucilieri e domani, prima del tramonto, fateli appostare in questo modo: una squadra a cinquecento metri a Ovest del Forte; un’altra sugli spalti, sempre ad Ovest; l’altra a cinquecento metri dal Forte, però ad Est.

      Il velivolo nemico, e presumo che sia uno soltanto e che non sarà un grosso bombardiere, volerà certamente basso per fare un attacco a volo radente, quindi con le nostre armi abbiamo buone possibilità di colpirlo. Sappiamo di sicuro da dove proverrà l’attacco, quindi ogni squadra di fucilieri, ad iniziare da quella appostata a Ovest, fuori dal Forte, sparerà quando l’aereo sarà di prua, quindi ricaricherà velocemente e sparerà la seconda scarica quando l’aereo mostrerà la  poppa.

Il cannoncino recuperato, se riusciremo nel frattempo a farlo funzionare, e la mitraglietta, spareranno dal piazzale del Forte, quando l’aereo saprà sopra di noi. Farete fuoco fino all’esaurimento delle munizioni. Questo è tutto!-

E l’indomani, al tramonto, come una morte annunciata, si udì il rombo di un motore. Era un piccolo velivolo da bombardamento a volo radente, che iniziò e subito e velocemente  l’attacco come previsto: da Ovest. Le squadre erano già state appostate e la prima fece fuoco, il velivolo arrivò sul Forte e l’altra squadra fece fuoco; altrettanto non potettero fare il cannoncino e la mitraglia, poste al centro del forte, perché furono colpite in pieno da due bombe sganciate dall’aereo, e saltarono in aria.

Il velivolo si diresse ad Est per virare e rifare l’attacco, e la squadra appostata in quella zona fece fuoco puntando alla prua, quindi ricaricò velocemente e sparò alla coda. Si udì un lieve scoppio, poi una fiammata avvolse il velivolo nemico, che fu, dopo, solo fumo in lontananza.          

-         Bravi! – gridò De Menza. – Tenente, fate subito rapporto dell’attacco subito a Supercomando. Trasmettete, oltre i dati dell’abbattimento, anche una rinnovata richiesta d’aiuto e di rifornimenti. Mandate in chiaro la situazione munizioni e viveri.-

Con questa mossa il Maggiore De Menza giocò la sua ultima carta: o i rifornimenti o la capitolazione. Supercomando scegliesse quale.

La risposta di Supercomando, stranamente, non si fece attendere molto e fu di questo tenore: “ Parte prima: Nota di biasimo per il Maggiore De Menza per il messaggio inviato in chiaro. Parte seconda:  rifornimenti impossibili. Parte terza: dopo le vittorie riportate da codesto Forte, se resa ci dovrà essere, che avvenga con l’onore delle armi. Stop”

  Il messaggio, naturalmente venne intercettato dal nemico, e nella persona dell’Aiutante in Campo, il quale, livido per lo smacco subito, che riteneva un’offesa personale, sollecitò il Comandante a prendere il Forte per fame allo scopo di non concedere l’onore delle armi ad un nemico sleale e irremissivo – anzi, azzardò, - perché non li fuciliamo?

 

Quando il Maggiore lesse il dispaccio alla truppa schierata sul piazzale, il caporale Salvatore Bonanno domandò al Tenente Pazienza:

-         Ma che cos’è sto’ onore delle armi?-

-         Vuol dire che se ci arrenderemo e consegneremo le nostre armi, il nemico ci dovrà presentare le armi.-

-         Anche il mio moschetto dovrei consegnare?-

-         Mi dispiace, il tuo con gli altri.-

-         Ah! Allora vuol dire che io personalmente non mi arrendo.-

-         Non puoi, mio caro amico – disse De Menza avvicinandosi in quel momento.

-         Non posso perché lo dite voi, mio comandante, o perché non mi è permesso?-

-         Perché te lo dico io. Però, se prima di prendere una decisione, tu dovessi distruggere il tuo moschetto, questo non sarebbe un reato militare.-

-         Ma che guerra è questa? – si chiedeva in giro il Caporale Bonanno guardando i compagni d’arme.-

-         Ragazzi, combattenti, eroi, amici miei – pontificò il Maggiore – il forte è assediato e privo di ogni possibilità di soccorso. Le armi sono quasi senza munizioni, i viveri sono finiti da tre giorni e l’acqua manca già da ieri. Con questa situazione io vi faccio tre proposte, ognuno sarà libero di aderire ad una di esse.

Prima proposta: Organizzare una sortita con le camionette recuperate e tentare di raggiungere le nostre linee.

Seconda proposta: Se concessa, resa con l’onore delle armi.

Terza proposta: resistenza all’ultimo sangue. Ulteriori dettagli ve li darà il Tenente Pazienza. E’ tutto.-

-         Comandante – gridò Bonanno – ma è questo il modo di fare la guerra?-

-         Figliolo- disse De Menza, con dolcezza – io debbo pensare alla vostra vita e al vostro onore di soldati. Tu cosa mi suggerisci?-

-         Io.. io li scannerei tutti! – gridò Bonanno senza specificare chi scannerebbe e allontanandosi dal gruppo per non farsi vedere che piangeva.

-         Che facciamo ragazzi? – intervenne Pazienza – Fare una sortita con poca benzina e con duecento chilometri da percorrere sarebbe la morte sicura per sete; la resa con l’onore delle armi non ci è garantita, e se ci fosse negata, coi tempi che corrono, sarebbe la Corte Marziale; la resistenza ad oltranza  è quasi impossibile, perché dovremmo combattere all’arma bianca, se  avessimo un po’ di energia, naturalmente; e ridotti come siamo, da tre giorni di digiuno…Accidenti! Soldati? avremo noi la forza per l’olocausto?

Purtroppo siamo in trappola ragazzi! e voi, solamente voi, dovrete decidere il vostro destino. Noi ufficiali, da uomini d’onore, dobbiamo suicidarci.

Che facciamo Comandante? – silenzio.

-    Signor Maggiore? – silenzio ancora.

-    Maggiore De Menza? - Silenzio profondo.

-    De Menza!- ronfo improvviso.

-         Che facciamo? – biascicò il Ragioniere Demetrio De Menza, con la bocca impastata di sonno – Ah, voi non lo so; ma io, per il momento, mi sveglio.-

E con un ultimo ronfo da supino si girò sul fianco, accese la luce e bevve un sorso d’acqua.

 

(Antonio Sapienza)

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