La pistola sotto il cuscino

 

Uno squillo di telefono così forte e terribile da sconvolgere un’intera esistenza. Uno squillo nel cuore della notte, uno squillo che è sparo , fulmine, scarica elettrica, doccia gelata, arresto cardiaco. E proprio questo aveva rischiato il povero cuore di Cecilia, l’arresto immediato, un respiro che perde colpi, annaspa, impedisce alla voce di uscire, è soffocato e a malapena e flebilmente riesce a dire solo un debolissimo “Chi è?”.

Uno squillo che è l’inizio della fine.

All’altro capo del filo la voce concitata e spezzata di Clara aveva investito Cecilia come un una cascata, un Niagara di parole sconnesse miste ad urla , pianto, paura: ”Mauro non c’è, è fuori, non è rientrato, e… e la pistola non è più sotto il suo cuscino! Cecilia aiutami, aiutami, Dio mio, così depresso com’è, chissà cosa gli è passato per la testa!” Un urlo più forte degli altri aveva interrotto la comunicazione. Come poteva aiutarla Cecilia a cento chilometri di distanza?

Ripresasi in attimo dallo sconvolgimento che quello squillo inatteso le aveva procurato, appoggiando il capo sul cuscino, si era girata verso l’uomo al suo fianco che si era da poco addormentato dopo un amore intenso e passionale. I loro sguardi si erano incrociati, Cecilia aveva affondato la testa sul suo petto e con un cenno della mano sulle labbra l’aveva invitato a riprendere il sonno interrotto: non era successo nulla, tutto era a posto. Anche lei avrebbe tentato di continuare a dormire.

L’amicizia con Clara e Mauro era iniziata due anni prima. Luigi, il suo fidanzato di allora, glieli aveva presentati con molto entusiasmo. “Sai, Cecilia, il mio collega Mauro è un appassionato di safari, di caccia grossa, è un vero patito, sapessi quanti animali ha ucciso, devi venire a casa sua, nella sua villa, non ti dispiace, vero, Mauro, se porto Cecilia un giorno da te per farle vedere tutti i tuoi trofei?” aveva esordito Luigi al loro primo incontro. “Figurati, sai quanto sono fanatico ed orgoglioso dei miei animali, vieni quando vuoi, spero soltanto che la tua deliziosa ragazza non abbia a spaventarsi, ma, aveva poi aggiunto rivolgendosi direttamente a lei, ti prego di credermi, non sono un violento sanguinario pure se amo questo tipo di caccia”.

Così era nata la sua amicizia con questa eccentrica coppia di amici del suo Luigi.

Un’amicizia fatta di frequenti incontri, di serate passate a chiacchierare per ore al ristorante, o al cinema, al teatro, o semplicemente a casa con un bicchiere di whisky in mano, sempre allegri ed in perfetta sintonia, insomma , amici amici come se la loro conoscenza durasse da sempre.

E Cecilia aveva preso tale e tanta simpatia con questi nuovi amici che si era dimenticata completamente di tutti gli altri che aveva prima, non li sentiva neanche quasi più, non voleva frequentare se non Mauro e Clara, anzi, addirittura lei che in precedenza sembrava odiare tutti quelli che in qualche modo facessero del male agli animali ora invece era diventata una fan dei safari e non mancava occasione per esaltare questo tipo di caccia violenta.

E Luigi in tutto questo era diventato un’appendice, un animaletto fedele e tranquillo da portare dietro, un cagnolino al seguito della sua padrona, in po’ tiranna e bizzarra come appunto era diventata Cecilia, Lei, infatti, era quella che faceva i programmi - sempre e solo includendo questi due amici, non voleva stare più da sola con il suo Luigi e Luigi così un bel giorno disse basta a questa situazione, non ne poteva proprio più, era ora ormai di dare un taglio ad una storia che non era la sua storia era un’altra storia con quattro protagonisti, quella che lui aveva iniziato ne prevedeva invece solo due, non poteva andare avanti in questo modo e glielo aveva detto in tutte le lingue alla sua Cecilia ma lei no, non aveva voluto sentire ragioni, lei non avrebbe mai e poi mai rinunciato alla sua amicizia, piuttosto avrebbe rinunciato a Luigi. E così infatti fu.

La sua storia d’amore s’interruppe bruscamente, senza in verità tanti drammi per Cecilia. Luigi non voleva vedere e frequentare più quegli amici, bene, allora lei non avrebbe più frequentato lui.

Loro, gli amici, in questa storia non vollero molto entrarci e soprattutto Mauro non mosse un dito per cercare di riappacificare i due innamorati, mentre Clara aveva provato a mettere una buona parola per tentare almeno di non distruggere una storia che ai suoi occhi di imperdonabile romantica sembrava avere tutte le caratteristiche per poter durare nel tempo viva e bella, come lei pensava fosse la sua. storia con Mauro.

Cecilia, infatti, aveva continuato a frequentare da sola assiduamente la coppia di amici anche dopo la rottura con Luigi, creando in verità un certo imbarazzo, una sorta di fastidio sottile che s’insinuava lentamente e quasi subdolamente tra loro, come un malessere non completamente avvertito ma ugualmente vero che rischiava di compromettere i loro rapporti di solida e sincera amicizia.

Clara poi in particolare provava dolore per questa storia finita male che lei, per la sua innata ipersensibilità, riconduceva ad incomprensioni e litigi dei suoi amici proprio alle loro troppo intense frequentazioni non più gradite agli occhi di Luigi. Si sentiva in qualche modo responsabile, causa indiretta o concausa importantissima, se non addirittura decisiva, alla fine della loro bella storia d’amore, Cecilia aveva provato in mille modi a convincerla della sua totale estraneità ed assenza di responsabilità nella vicenda, non c’era stato niente da fare: Clara era rimasta sempre convinta di aver dato una bella mano a che quella storia si chiudesse così.

In tutto questo Mauro sembrava esserne fuori, non aveva mai espresso apertamente una sua personale opinione, aveva solo manifestato però il suo dispiacere precipitando in un lento ed inesorabile stato depressivo che aveva finito per preoccupare non poco soprattutto la sua compagna.

“Mauro, tesoro, cos’hai? Stai male? Non ti riconosco più. Dov’è finito il tuo proverbiale buonumore, la tua gioia di vivere, la tua forza che è sempre stata anche la mia forza? Non riesco a vederti così, cerca di reagire, lo so che Luigi era il tuo migliore amico, ma cerca di fartene una ragione, vedrai che in futuro tornerà ad esserti amico, ora lascialo sbollire, ma tu, ti supplico, pensa a me che non riesco a vivere vedendoti in questo modo!”, Clara lo tartassava di simili lamentele mille volte ogni giorno, fermamente convinta anche questa volta che la causa della depressione del suo Mauro fosse esclusivamente la rottura dell’amicizia con Luigi.

Luigi, d’altra parte, non smentiva né le dava un’altra spiegazione del suo malessere, si limitava a stare poco in casa, trascorreva sempre più tempo in ufficio - così almeno le diceva - parecchie notti ormai le passava fuori, gli impegni di lavoro si erano moltiplicati enormemente come non mai prima, insomma, la sua vita scorreva su binari molto distanti da quelli percorsi dalla povera Clara.

E neanche a dire che lei potesse sospettare che suo marito avesse un’amante. Come avrebbe potuto, a suo avviso, in quelle condizioni di spirito così malandate, mantenere in piedi una storia clandestina con una donna, se non aveva neppure la forza di badare a se stesso? No, non era proprio possibile. E, come le era venuta, così una simile idea balsana, se ne andò e Clara si convinse ancora di più che Mauro stesse decisamente male, molto male, a tal punto da temere che volesse attentare alla sua propria vita. Perché, infatti, si era comprato una pistola che teneva gelosamente nascosta sotto il suo cuscino, se non perché, quando avesse voluto, avrebbe potuto porre fine alla sua triste esistenza? Che bisogno aveva di tenere una pistola, quando in casa aveva decine di fucili, quelli che usava per la caccia, e che avrebbero potuto usare nell’eventualità di un pericolo, che so, di ladri che potevano introdursi nella sua villa?

Sicuro, Mauro era terribilmente e gravemente malato, non c’era purtroppo altra spiegazione ed è per questo che lei ormai non era più affatto tranquilla e di questa sua tremenda preoccupazione si confidava con la sua amica del cuore, con la dolce, affettuosa e sincera amica Cecilia.

Cecilia l’ascoltava attenta e con pazienza e nello stesso tempo però non assecondava troppo il pessimismo della sua amica: “Lascia passare il tempo, Clara, vedrai che Mauro starà meglio tra poco, è solo questione di qualche mese, è una crisi passeggera, dammi retta, lo sai come sono gli uomini, fanno tanto i forti, gli spavaldi e poi crollano alla prima piccola difficoltà. Lascialo stare, vedrai che le cose si aggiusteranno da sole, quando meno te lo aspetti”. Così, semplicemente, Cecilia liquidava le ansie insistenti e le incalzanti domande della sua amica Clara.

Ad una cosa però Clara non aveva mai smesso di pensare: quella pistola nascosta sotto il cuscino non le dava pace, non la faceva più dormire, era diventata un’ossessione, un incubo che la stava letteralmente consumando.

Quando quella tragica notte si era risvegliata di soprassalto dopo un brevissimo leggero sonno e non aveva trovato al suo fianco il suo Mauro come spinta da un impulso istintivo aveva guardato sotto il cuscino e non vi aveva trovato più la pistola, ecco che la disperazione le aveva fatto prendere in mano il telefono senza guardare neppure che ora fosse e aveva chiamato l’unica persona che sapeva poteva capirla e, forse, in qualche modo aiutarla, la sua fedele amica Cecilia.

Due giorni dopo la drammatica telefonata nel buio, di notte, Cecilia è a letto sola questa volta, e dorme profondamente grazie a due pasticche di sonnifero, quando uno squillo improvviso la fa sobbalzare e la voce forte e concitata di Mauro l’investe violentemente: “L’ho fatto, ce l’ho fatta! Siamo liberi finalmente, amore mio! Aspettami, vengo subito da te”. E la comunicazione s’interrompe di botto lasciando Cecilia impietrita, una statua di sale, senza anima, immobile in una rigidità non più umana.

Clara morta, uccisa, una seconda volta. Come aveva potuto farle questo? Non bastava averla uccisa già una volta?

Un urlo lacerante, un boato fuoruscito dalle viscere della terra squassa il silenzio della notte. Cecilia cade svenuta, non sente più niente. Non è così che sognava la sua storia.

 

(Franca Santacroce)

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