Vagabondi a Vendicari
Nel comune di Noto, in provincia di Siracusa, nel lembo sud della Sicilia, c’è una zona pianeggiante straordinaria, perché lì si trovano i “pantani”, sorta di paludi costiere, le cui acque finiscono per unirsi a quelle del grande mare Jonio.
Quando ero bambina, andavo spesso a Noto, a vedere la festa del patrono S. Corrado, una festa folcloristica molto popolare. Alla fine della processione, dei canti, delle luminarie, si andava alla “villa”, che erano giardini pubblici molto belli e curati, dove si passeggiava, si ascoltava musica, si sorbivano granite e gelati fino a notte inoltrata.
Anch’io andavo a passeggiare insieme a nonno Guido, che mi parlava sempre dei pantani.
- Ce ne sono tre di pantani - diceva con enfasi - il pantano grande, il pantano piccolo e il pantano di Vendicari, il più bello, il mio preferito.
- Che cosa è il pantano? - Chiedevo ogni volta.
La risposta era sempre la stessa:
- E’ un paradiso - bimba mia - un vero paradiso! E si accarezzava la lunga barba bianca.
Quanto fosse vero, l’ho scoperto molti anni dopo, andando a visitare il pantano, incuriosita dalla descrizione che ne faceva Fazzello nel libro Historia di Sicilia:
“…e per diversità, e per la dolcezza del canto degli uccelli, e per l’amenità della pianura ove si vede quasi sempre una primavera”.
Andare a Vendicari vuol dire fare un salto nel passato: gli odori e i sapori antichi, il gusto delle olive conservate nelle “burnie”, specie di vasi di terracotta smaltata col coperchio, i racconti dei “saracini” narrati dai vecchi, sentirsi solleticare il naso dall’odore dei “mustazzoli”, tradizionali dolci di mandorle, appena tolti dal forno.
Nell’aria limpida, avvertivo le antiche radici che sentivo dentro sotto gli strati di esperienze accumulate negli anni. Mi pareva di risentire voci passate e riti antichi, e la loro magica presenza mi trasportava nel lontano mondo dell’infanzia.
Il territorio di Vendicari è costellato di pietre che sono resti di costruzioni antiche che testimoniano la presenza di civiltà succedutesi nel tempo e che ora vedevo convivere tra le dune e i boschetti. Una colonna di sassi alta due metri e mezzo, risalente al terzo secolo avanti Cristo, chiamata “cippo della pizzuta”, sembrava indicare l’inizio di una zona speciale dove regna il silenzio, rotto solo dai mormorii che giungono dai canneti e dal vicino mare. Sembrano lontani anni luce i fastidiosi rumori della vita moderna…
Il tratto di costa di Vendicari è lungo dieci chilometri, eppure vi si trovano insediamenti greci, romani e bizantini; le masserie sparse risalgono al XVII secolo.
Accanto al pantano di Vendicari, sulla destra, potevo vedere il pantano grande e il pantano piccolo, e accanto, saline e tonnare.
Andai a vedere la masseria di mio nonno Guido che era morto da tempo, mi piacque.
Una volta le masserie, costruzioni basse e lunghe, erano il centro della vita contadina: all’interno un grande cortile con la cisterna, il portico, le “mandre” per gli animali, le parti abitative, e attorno, agrumeti, vigneti, “giardini”, cioè orti.
Il limite della zona dei pantani è segnato dal fiume Tellaro, che si getta nel mare Jonio. Un tempo si chiamava Eloro e sulle sue rive sorgeva la città di Eloro da cui partiva una strada, la via Elorina, che la congiungeva a Siracusa.
A sud di Vendicari c’è una minuscola isola coperta di praticelli, dove gli uccelli migratori si posano per una sosta.
Mio nonno mi aveva raccontato la leggenda dell’origine della piccola isola: io non so se fosse davvero una leggenda antica o un parto della sua fantasia, comunque è una storia poetica ed affascinante. Eccola:
Un pescatore, ormai avanti negli anni, veniva spesso al pantano Vendicari e si divertiva a lanciare nel mare vicino le pietre che trovava scavando tra le dune. Giorno, dopo giorno, le pietre si accumularono formando un’isola, l’isola di Vendicari, come la chiamò il pescatore. Egli sognava di costruirvi una capanna per sé, ma morì prima di realizzare il suo sogno. Pure, l’isola non rimase deserta: corsero a popolarla cigni, fenicotteri, cavalieri d’Italia e tutti gli uccelli migratori durante i loro viaggi. L’isola divenne un paradiso di voli e di canti in ricordo del pescatore.
Mi fermai al pantano di Vendicari per un lungo periodo, volevo godere di tutto il pullulare di vita che sentivo attorno: le palme nane, le canne fruscianti al vento, il boschetto di ginepri, le ginestre e i rumori, i canti, i mormorii del vario mondo animale: volpi, lepri, l’istrice, il fratino, gli uccelli colorati…
Fu allora che incontrai Tim: bello, biondo, gaio. Anche lui mi piacque subito. Ci incontravamo tutti i giorni e stavamo in silenzio a contemplare la natura. Io gli portavo da mangiare e lui mi si accoccolava accanto. Alla fine della giornata, verso il tramonto, tornavamo alla masseria del nonno, che era diventata la mia dimora. Tim mi seguiva e dormiva nel cortile. Ma era un vagabondo: cominciò a sparire per brevi periodi e poi riappariva all’improvviso guardandomi con aria ironica e saltandomi addosso. Imparai a non farci caso. Del resto, ero anch’io una vagabonda: dopo due settimane, già l’inquietudine faceva capolino nella mia mente. Io amo la vita errabonda, il vagare a zonzo, i riposi brevi e il riprendere ad andare.
Mi piace vivere di quello che mi porto dietro, e andare in giro con un vecchio paio di jeans sfilacciati.
Mentre sedevo tra le dune, mi tornò alla memoria la mia amica Serena:
- Sembri una zingara-mi disse l’ultima volta che la vidi, due mesi fa, a Roma. Aveva un’ombra d’ironia negli occhi. Sua nuora stava per avere il suo secondo figlio, ed io le avevo portato un piccolo regalo.
Com’è che mi veniva in mente proprio ora? Forse perché mi ricordava Tim. Anche lui mi guardava con un’ombra d’ironia. Da più d’una settimana non lo vedevo: dov’era? Certe volte pensavo di adottarlo e portarlo con me nelle mie peregrinazioni, ma non sapevo decidere, così l’avevo lasciato solo nella masseria per andare a vagare per le spiagge di Noto marina. Poi me n’ero dimenticata. Io non sono fedele, appartengo alla razza dei volubili che amano gli animali col pensiero. Noi viandanti siamo tutti così, ma la stessa mania di vagare è in gran parte amore. Noi viandanti siamo abituati a coltivare i sentimenti solo perché sono inappagabili, e quell’amore che potrebbe legarci ad un animale, lo dissipiamo distribuendolo ai fiori, ai fiumi, agli uccelli. Noi non concretizziamo l’amore nell’oggetto, come non cerchiamo la meta al vagabondaggio.
Pure, la notte sognavo Tim. A lui stavo pensando. Guardai il canneto in fondo per cercare conforto, ma… sogno? Vaneggio? Una sagoma bionda si profilava tra il verde giallastro delle canne. D’istinto mi alzai: possibile? Lui? Da dove?
Non avevo tempo di pensare ancora: mi trovai distesa al suolo sotto la carezza d’una lingua calda. Volevo ribellarmi: tu non sei la meta del mio amore! Sciocchi discorsi! Era scritto che un’amicizia dovesse fermarmi. L’abbandono del vagabondare l’aveva deciso Tim, col suo ritorno. Tim, un cane.
Ora non godo più delle gioie del vagabondaggio, vivo nelle masseria del nonno parzialmente ristrutturata.
La zona di Vendicari è cambiata, ci sono state trasformazioni per la creazione di strutture e servizi, parte del paesaggio naturale è diventato agricolo, si sono perdute molte dune per effetto di spianamenti, alcuni animali non ci sono più, le masserie sono diventate residenze turistiche.
Alcune cose, però, per fortuna, sono rimaste e sono quelle che piacciono ai miei due bambini e a Tim, naturalmente, che ora è un vecchio cane lento e brontolone.
Siamo diventati stanziali, io e lui, ci adattiamo a dimenticare: lui, le sue sparizioni ed io il mio vagabondaggio. In cambio, c’è la nostra amicizia e c’è l’amore per il pantano di Vendicari, il paradiso di nonno Guido. E il paradiso è qualcosa di unico, prezioso, irripetibile.
(Maria Pizzuoli)