Febbraio 1988
Riarso e sconfinato il paesaggio dove io camminavo stanco. C’erano pochi alberi, molta erba secca e tanti tanti bivi. Le strade si incontravano velocemente, quasi scomparendo dopo essersi incontrate, lì nella campagna color girasole secco. La meta era lontana seppur gli uccelli con il loro volo mi indicassero un sentiero che, al contrario degli altri, era costantemente pianeggiante. Nella sacca era rimasta soltanto una susina, acerba e con una foglia gialla attaccata al picciolo. Non avevo ne’ fame ne’ sete, ma i miei pensieri cercavano cibo e bevande. Non avevo incontrato nessuno, durante il cammino, e ciò mi rendeva padrone di quelle ore e di quella campagna. Immenso l’orizzonte donava alle mie orecchie rumori di lucidità e forza. Il passo che sostenevo da almeno sei ore era ancora ardito e nessun dito dei piedi si lamentava. Avevo insegnato alla mente a non pensare più. E il silenzio mi rubava parole come: “Depresso“, “Protetto“, “Affresco“, “Muro“, “Severo“, “Malizioso”...... Intanto loro cercavano me. Entrai nella casa senza notare nessuna porta. Lei, la moglie, preparò del tè, mentre io mi informavo della situazione del tempo, lì in piedi davanti a lui, il marito, che disinvolto parlava. Fu un racconto estremamente lungo e semplice. Ogni tanto la moglie veniva lì, nella stanza, portandomi fresche noci accuratamente sgusciate e ripulite. Erano giovani ma sapienti, forse senza figli. Avevano bisogno di un bracciante. La loro signorilità e modernità non poteva mettersi a lavorare la terra. E fu alla terra il primo sguardo che io avevo dato, appena entrato nella stanza. Una pianura arida con sassi e ciuffettini di erba in qua e là. Il buio entrò nella stanza. L’affanno raggiunse il mio cuore e mi precipitai all’unica finestra. Con tutta la forza che avevo e in un lampo tirai su l’avvolgibile, aprii la finestra...... buio. E in casa non c’era la luce. L’uomo e la donna erano immobili, sorridenti. L’attimo successivo i miei occhi poterono ammirare la bellezza di un campo arato alla perfezione..... nella lucentezza di un mattino di Maggio.
(Luciano Piantini, 16.05.2007)
L’uomo con la grande testa
Sapevamo che la notte era buia. Non sospettavamo un così orribile ospite. Mio babbo era a lavorare. Nella casa quindi io, mia madre, mia sorella e mia nonna. Entrò senza che nessuno se ne accorgesse. Era molto grande, grasso, con un’enorme testa. Un uomo con un coltello, nonostante tutto goffo. Ci diceva poco o nulla ma tutti dovevamo restare chiusi in casa ed avere paura. Non che il coltello valesse più di noi, non che l’uomo fosse più intelligente di noi, ma era notte, non c’era nostro padre. Assenza e presenza. Mancanza e morte; freddo il sangue ma lo scatto fu repentino. Aprii la porta e velocissimamente scesi le scale; non ricordo di averle discese mai così. Nella strada nessuno, io corsi, corsi, volevo andare dai carabinieri, naturalmente, ma probabilmente l’euforia di essere scappato dalle grinfie dell’uomo dalla grande testa e anche l’ansia della fuga nella paura della sua testa più che del suo coltello. Eppure mi sembrava abbastanza stupido, il tale.
Sta di fatto che sbagliai strada, ritrovandomi in una parallela. Sapevo che dovevo attraversare il centro del paese ma in quel momento tutto mi parve un sogno perché io vedevo una lunga lunga scalinata rossastra di mattoni e insieme lucente di non so che. Era senza fine. Allora trovai in me solo paura e pensavo o meglio m’immaginavo a casa, io già con i carabinieri, la volante e il megafono che insieme alla voce sonnolenta del maresciallo, incitavano il signore, se così si può chiamare quel grande ammasso di carne, ad arrendersi. Sognavo, probabilmente, lì a quel bivio, che nella realtà avevo girato mille volte per andare dalla mia ex-bella, e che adesso mi sembrava così irreale e mi sentivo impotente, la mia famiglia a casa senza aiuto, io che ho sbagliato strada, la paura insensata, ah potevo anche telefonare da una delle due cabine che prima si trovavano sulla strada, che stupido. Ma in realtà la mia corsa non era esistita nell’affanno liberatore. Chissà a casa la mia mamma, mia nonna, mia sorella, magari staranno giocando a carte con quello stupido uomo con la grande testa ed il coltello che sembrava un giocattolo da come lo teneva in mano. I pensieri finirono quando vidi un’angelica visione. Una dolce ragazza, molto bella e molto serena, che mi guardava e senza dirmi niente donò alla mia anima, per un attimo turbata dall’avvenente suo fascino, una pace infinita.
(Luciano Piantini, 08.09.1988)
Febbraio 1988
Corro fra le auto minacciose e i passanti che spingono e cercano la tua mano, solo per avere un contatto, un segno di vita. A gruppetti le persone si isolano nei marciapiedi o in aiuole rosseggianti, credendo che il male non possa entrare in quei capannelli. Appiccicati l’un l’altro non parlano neanche per non dimenticarsi chi sono o che cosa son venuti a fare nel mondo. Non m’interessa il caos e neppure il gioco della catena in cerchio; sto cercando un bambino che parla troppo. Una strana sensazione mi pervade: è come se tutte le persone della città fossero lì con me a correre nell’affanno e nella paura d’incontrarlo. Tutti con i loro problemi e tutti anche lì con me; dentro i miei muscoli, il mio fiato, il mio sguardo. E trovando dei cani, sento che non ci sono con me: no, loro no. Il bianco dell’aria entra dappertutto, soprattutto nei capannelli dorati. E’ un’aria da Domenica mattina, così bianca..... Dev’essere lui. Sta al centro di un capannello diverso dagli altri; questo è più aperto, è come se la catena aspettasse un ultimo anello. Per essere un bambino è abbastanza furbo e coraggioso; sta passando da discorsi sull’orientamento delle stelle a proverbi di ogni nazione o paese. I membri della catena stanno dritti, fermi e soli ad ascoltare. La confusione nelle menti degli udenti è incredibile; la si vede ad occhio nudo. Mi siedo fra quella gente senza nome e il bambino; mi sgancio l’orologio e guardandolo negli occhi freddi, meravigliosamente accesi dalle parole e dai loro suoni, aspetto che il narciso abbia finito il suo profumo.
(Luciano Piantini, 05.05.2007)