Il buco nel cuore
Oggi ho conosciuto Willy, un uomo che ha un buco nel cuore.
Ero lì per vedere la sua casa, per comprarla e ho trovato l’umanità tutta, nelle poche parole che ha pronunciato, nei suoi gesti, nei suoi occhi. In quella casa, tutti i ricordi più felici, le gioie e le speranze schiacciate sotto una coltre di dolore non camuffato.
E’ qualcosa che inabissa.
Un uomo che parla solo all’imperfetto, come se il presente non ci fosse più e il futuro diventa la parola indicibile, impronunciabile.
Il futuro non è, semplicemente non è. Il futuro era, ma non è.
Sono entrata dalla sua porta azzurra in un condominio popolare. Parlava piano, con un filo di voce, quell’uomo grande e forte non aveva più la voce. Era sottile come quella di un bambino che è stato picchiato e che dentro piange, ma per l’orgoglio non fa vedere lacrime. Ma la tristezza riempie le stanze, gli oggetti, cola dai muri intonacati, soffia dalle finestre verso la polvere, stana le cose del passato, come un gatto che rincorre la preda.
Spazza via tutto il possibile futuro.
-La vendo perché il primo settembre 2005 mi sono separato e io qui dentro ci muoio. Mi fa male solo aprire questa porta- lo dice senza forza, con lentezza.
La cucina ferma al momento in cui lei se ne è andata. La camera da letto asciutta e bianca come se nessuno ci vivesse. Foto ovunque di una bambina che cresce. Ne indica una appesa al muro bianco del corridoio
-E’ lei, è mia figlia, il mio cucciolo, non mi parla più, non mi vuole più vedere, non ha capito cosa è successo. Ora ha diciassette anni. Vedi quei disegni sul muro li ha fatti lei. E’ brava, ora fa la scuola di grafica. Diventerà bravissima. Vuoi anche il pianoforte? è un Hoffman. Lo suonava lei. Io non lo voglio più- tocca qualche tasto.
Sento che sono come sferzate di cilicio sulla sua schiena.
Piano piano il cuore mi s’incrina come un cristallo rotto e penso che il suo è più rotto del mio, anzi il suo è un cristallo disperso sul pavimento, i piccoli frammenti sono lì, sul freddo delle piastrelle, alcuni sono incuneati sotto gli stipiti della porta altri, nascosti dietro al frigo,alcuni si sono appiccicati alle foto appese, altri sono irrimediabilmente volati via, tanto erano piccini.
-Vedi è così, eravamo felici, io e mia moglie. Tanto. Ci divertivamo con niente. E poi nostra figlia. Una gioia immensa. Il nostro cane, il nostro gatto di nove kili, l’altro piccolino. Qui eravamo felici, poi qualcuno si è messo dentro a tutto questo, si è insinuato. Ora dorme con lei. Un uomo dorme con lei. Io non so cosa è successo. E’ come avere un buco nel cuore Se n’è andata. Ho perso il lavoro. Lavoravo con lei e non sono più riuscito a trovarlo, un lavoro. Si ho lavorato un po’ come operaio ma credevo non fosse il mio lavoro, la mattina non riuscivo ad alzarmi e mi sono licenziato. Non avevo capito che era la depressione. Ora mi sono pentito perché chi ha troppo tempo per pensare rimugina e va sempre peggio-
- Porca puttana- penso- la vita è così fragile, le persone anche. E tutto scivola via in così poco tempo-
E’ una giornata di nebbia, come tante, da queste parti. Però questa nebbia è diversa, è dentro questa casa, dentro a quest’uomo ora è anche dentro di me, col suo sapore d’inverno e quell’umido che sale nelle ossa, con il sapore del mare poco distante.
Sento l’urlo soffocato dell’uomo che ho di fronte, di Willy, per liberarsi dal ricordo, ma non riesce ad uscire dalle labbra, tanto è compresso.
Mi dice che lui è un motociclista, uno sfattone. Si vede che è abituato ad essere giudicato dall’abbigliamento. Per via dei capelli bianchi e della coda di cavallo, della giacca di pelle e del disordine. Non sa che me ne frego, che non vedo altro che il sangue che scorre dentro di lui e tutto l’umano capire m’invade non appena sento il vero, che gorgoglia dentro di noi. Annuso le persone, non mi accorgo nemmeno che cosa indossano. Non lo vedo. Si giustifica, mi dice- Devo venderla questa casa. Non importa a quanto. Qui affogo. Ora vivo con mia madre e mio fratello a Modena, ma loro non capiscono. Io sono cambiato. Non ho più il carattere di prima. Sono un altro uomo, mi sono trasformato. Prima credevo di poter combattere tutto. Ora mi sono lasciato andare. Non riesco più. Faccio fatica a muovermi- gli vedo le braccia lasciate cadere lungo i fianchi, come se non gli appartenessero più, come se con quelle braccia non potesse più farci niente, nemmeno aprirle per dire così va la vita, oppure sono qui. Sono pesanti e l’atterrano, lo fanno sprofondare come se ci fosse attaccato del piombo, a quelle mani.
Mi fa vedere la camera da letto. Tiene ancora le fedi sul comodino a fianco del letto, sulla decorazione della torta nuziale. Un uomo in abito scuro e una donna vestita da sposa che si abbracciano felici. La tortura quotidiana.- E’ che io ci credevo, vedi. Io ci credevo vaffanculo!-
Quelle porte decorate di azzurro, i sogni di una vita, i giochi della bambina cresciuta, i ricordi della moglie con il gattino appena nato, sulla pancia e il cane a brontolare per l’assenza di posto fra loro, la figlia che dipinge il muro del balcone e che suona il piano. Questo fa morire. Piccoli sogni di noi umani, infranti, noi e i nostri sogni che non possiamo non avere perché altrimenti il futuro non è.
Me ne vado abbracciandolo come se l’avessi sempre conosciuto, Willy. Me ne vado cercando di portarmi via un po’ di tutta quella nebbia che offusca. Anche solo un morsettino di quell’umido grigio, anche un piccolo morso basterebbe. Ma non funziona così, lo so.
(Annalisa Neri)