Funghi
Mi trovo in Spagna, in una cittadina linda e a modo. Sono quasi le sei del pomeriggio e per la casa del mio pusher, aleggia un profumo di prodotti chimici e prodotti per i mobili.
- Un giorno mi dovrai spiegare come fai…
Mi guardo intorno con aria circospetta.
- A fare che?!
- A tenere questa casa così…
La casa sembra “una cagata di secca perfezione”. Il colore del mobilio, la dolcezza che esprimono le curve dei tendaggi, l’odore di merda che si respira, l’immobilità…Tutto di questo posto mi fa ricordare: “una cagata di secca perfezione”.
- Ti preparo qualcosa? Un sandwiches? Non so, un caffé? Vuoi un succo d’arancia?!
- No grazie…Fa lo stesso Robert.
Robert deve essersi messo una qualche riga, perché la casa brilla e lui non accenna a fermarsi.
Ha dei capelli da pazzo, crespi e assolutamente liberi di andare dove vogliono. Ride con entusiasmo ogni sei parole che dico e quando appoggio il denaro sul tavolino di legno scuro esclama:
- Un the! Un the! Qui ci vuole una di quelle tisane che solo in quel paese sapevano preparare!
È elettrico, ma assolutamente controllato nei movimenti.
- Come preferisci Robert, ma non disturbarti, li prendo a casa se vuoi.
- No, no, no…Se vuoi?! Io ti ho appena proposto di prenderli qui, è chiaro che voglio che tu li prenda qui!
Robert Frost, nome con cui ama farsi chiamare il mio pusher, scrolla la testa in segno di rifiuto.
- Guarda qui che belli che sono! E vuoi che te li faccia prendere a casa tua?! Nulla contro il tuo caldo tugurio, ma…Non se ne parla, torno in cinque minuti!
Sono seduto nel salone di una casa, che se non sapessi che è del mio pusher, penserei che fosse di una donna con abbastanza pasta da potersi permettere una cameriera e abbastanza schizzata da averne assunte tre. Tutto è pulito, in ordine, e luccica. Il tavolino di legno scuro su cui ancora giace il mio denaro, brilla quando la luce che filtra dalle persiane lo tocca in qualche punto. Però lo so già che qui non vive nessuna bionda della nobles, ma che l’ordine è opera della cocaina colombiana di Robert e della sua maledetta educazione inglese.
- Lo berrai senza zucchero maledetto fuggiasco! Che se non si impara a questa età come si beve un cazzo di the…Non si impara più!
Mi grida dalla cucina.
- Come vuoi tu Robert! Come vuoi tu!
Gli grido io di rimando. Dopo qualche minuto lo vedo rientrare nel salone con un vassoio d’argento, una teiera di porcellana, una tazza in coordinato e un piattino. Sul piattino ci sono un paio di biscotti, ciò che ho comprato, una scorza di limone e un cucchiaino.
- Tu non ne prendi?
Domando io perplesso.
- No, oggi devo vedere più fuggiaschi del previsto, ti immagini se ricevessi tutti come se fossi il fottuto bianconiglio a cui hanno dato una scarica elettrica?!
Robert scoppia a ridere e mi versa il the nella tazza, poi aggiunge ciò che ho comprato e mescola con rapidità e precisione chirurgica. Opera, letteralmente opera.
- Già rispondo io…
Del tutto rapito dai rametti e dalle pance verdi che si contorcono in un turbine giallastro al centro della mia tazza.
- I fuggiaschi…
Mi porto il fumante intruglio alla bocca e lo sorseggio con troppa fretta. Il the è bollente e la mia lingua se ne accorge, ma devo fare finta di nulla, perché non voglio che Robert pensi che sia un idiota. In fin dei conti è il pusher più strippato che abbia mai avuto, ho stima di lui.
- Cosa farai adesso?
- Che progetti ho Robert?
- No fuggiasco!
E scoppia a ridere battendosi le ginocchia con le mani.
- Intendo dire, dove andrai a godere di questa tisana eh?!
Dannazione, ero così concentrato nel bere la mia pozione…Al diavolo.
- Ancora non lo so, credo che incomincerò con l’uscire da questo edificio…
Passano alcuni minuti…
Durante i quali io finisco il mio the, e Robert prepara altre “porzioni di luce”, come le chiama lui. Non ci diciamo nulla, fino a che lui, accorgendosi che io ho ultimato di masticare gli ultimi rametti, mi fa:
- Ben detto ragazzo, ben detto…E se ha i bisogno, bussa tredici volte, lo sai.
Poi si alza e mi porge la giacca, mi accompagna fino alla porta e aggiunge:
- Questa volta è speciale, non c’è tempo d’attesa…Direttamente dal paese…
Quando si mette a parlare da personaggio delle favole, considerando che ha la fisionomia giusta per poter assomigliare a svariati personaggi delle favole…Beh, mi mette in soggezione.
- Ok, stammi bene Robert, a presto.
Mi infilo la giacca ed esco da casa di Robert Frost.
Sono molto agitato, o no? Non riesco a capire…Le scale si stringono davanti ai miei occhi.
Sono ubriaco? No. I funghi che ho ingerito nemmeno mezz’ora fa iniziano a solleticare prepotentemente la mia ghiandola pineale. Me n’accorgo perché quando una vecchia mi chiede se sto bene, io non le rispondo, ma mi limito ad un esaustivo sorriso ebete…Esterrefatto.
Le fisso le rughe che le segnano il volto e lo faccio con una tale insistenza che la poveretta si spaventa e chiama l’ascensore. Io me n’andrò a piedi. Le pareti di questo stabile sono maledettamente porose e pallide…Le tocco e penso ad un pollo senza piume. Avanzo con passo ciondolante, molleggiato, come se stessi seguendo un qualche ritmo che solo io possa sentire o come se mi fossi messo dell’etere. Non controllo alla perfezione i miei movimenti, né le espressioni della mia faccia. Mi sento dilatato e aperto ai colori. Dentro di me circola elio. Raccolgo da un contenitore di lucente rame invecchiato un ombrello nero e mi catapulto in una piovosa Londra di altri tempi. Il trip mi lascia abbastanza contento, ma non si sviluppa…Perché io a Londra non ci sono mai stato e la pioggia mi mette di mala ostia. L’unica cosa che capisco è che devo uscire dal palazzo del mio pusher. Troppo bianco, troppo omogeneo. Scendo le due rampe di scale che mi separano dalla porta d’ingresso senza fretta, anche perché quando sono sotto funghi la fretta è una parola che non contemplo. Il concetto stesso di tempo come “attesa” non lo contemplo. Tutto si riduce, o si eleva, che dir si voglia, ad un Erlebnis continua. Spalanco le porte delle mie percezioni e annego per la strada, in un’ondata di sensazioni che vanno dal grigio topo al più limpido azzurro del cielo. Guardo a destra, poi a sinistra, e infine mi dirigo dove la strada pende: al fiume.
Il sole, dall’altra parte degli edifici che m’impediscono di averne una vista completa, sta tramontando…E la luna, diametralmente opposta, sorgendo. È un’alba particolare, come non mi era mai capitato di vederne. La gente mi osserva come se fossi una molla di tenera carne rosa che si scioglie e si ricostituisce ad ogni passo. Io non riesco a reggere tutti gli sguardi, tutti i volti, come faccio se non mi sono messo, perché sotto funghi…Ogni volto, a guardarlo bene, ti cede troppe informazioni vitali perché tu possa pensare ti sopportarlo. Anyway, ho con me la mia macchina fotografica e non mi stanco di fare scatti a ciò che vedo. Svolto e scendo per delle vie che mi appaiono in tutta la loro diversità fino ad arrivare al fiume, prima del quale, scorgo alcuni tendoni colorati. Inutile dirlo, mi ci ficco dentro. È una specie di festa della birra, ma devono essere le sette di sera, perchè l’ambiente è piuttosto desertico. Fanno eccezione le luci, i giostrai, la musica e le bancarelle…Ovvero tutto ciò che mi poteva incantare di questo posto. Mi trascino felice e inebriato fino ad un chiosco dove vendono patatine fritte e ne ordino una porzione alla zingara che sta dietro il banco. Quando viene il momento di pagare però, mi accorgo maledicendomi un poco, di essermi dimenticato i soldi in casa del mio pusher. Cazzo penso, onestà:
- Ciao, io ho fame, ma ho solo cinquanta centesimi. Se tu me ne potessi dare solo qualcuna, per cinquanta centesimi…
Lei mi fissa per qualche secondo, poi mi serve una porzione normale di patatine, aggiunge ketchup e maionese, uno stecchino di plastica e tende la mano. Io le passo i cinquanta centesimi, le sorrido, la ringrazio, e me ne vado pensando a tutti quegli stronzi che chiacchierano invece di parlare.
Penso anche a Martin H. che più o meno sarebbe stato dalla mia e m’incammino di nuovo.
Lascio la musica alle mie spalle, ma i colori del fiume ora sono tutti intorno a me.
Un cielo lilla accompagna i miei passi mentre il sole sta collassando nel rio. Sento le braccia e le gambe più leggere che mai e i miei occhi non smettono di ispezionare ogni prisma di colore che incontrano. Seguo lo snodarsi espressionista del fiume fino al suo incrocio con un ponte che lo sovrasta: ha grossi pilastri in cemento e l’acqua nei suoi paraggi scorre più lentamente…Ed è gialla e spumosa, come l’abbraccio di una nonna. Mi appoggio ad una ringhiera per osservare.
La prima impressione che ottengo è di affondare con tutto il mio corpo nell’acqua, ma la supero senza grosse difficoltà quando sono distratto da alcuni ciuffi d’erba, di un verde scintillante, che sono accarezzati da piccole onde di spuma. Ho sempre amato mia nonna. Ma ciò che davvero richiama la mia attenzione è il cuore del ponte. Il suo tum tum, mi rapisce. Lo ascolto battere in modo aritmico, ma potente e sordo, e lo localizzo nel pilastro centrale. Mi accendo una sigaretta che non fumo e tiro avanti scattando tre foto: ad una albero in fiamme e ad alcune nuvole. Una di esse rappresenta un uomo in ginocchio, trafitto alle spalle da una lancia incandescente. Due anime di differenti dimensioni lo stanno lentamente abbandonando. Una è grossa e scura, l’altra invece è quasi impercettibile per quanto è bianca. Rifletto alcuni istanti sulla possibilità che ogni uomo possa godere di due anime...Vivrebbe infernali paradisi o paradisiaci inferni su questa terra? Annoto tutto su un foglietto di carta e scaglio la sigaretta in un cestino. Volteggia e cade fuori del bordo. Mi pongo una serie di domande a cui non so darmi risposta e avverto sulle mie spalle tutto il peso del mio essere occidentale. Non ho dentro di me il culto del momento, e nemmeno quello dell’attesa…Paradossalmente, quello che la cultura in cui mi sono bagnato fino ad oggi mi ha insegnato, è a non vivere il momento, ma aspettare speranzoso in un futuro fatto di progresso! Però, nemmeno debbo aspettare con la calma che suole avere chi aspetta sereno qualcosa di sicuro! No…é necessario che aspetti angosciandomi, che aspetti in piedi e camminando in circolo…
Che non capisca del tutto il “che cosa stia aspettando”, né “che senso abbia l’attesa” o “che senso abbia ciò che sto facendo mentre aspetto”…
Fortunatamente mi colpisce la coda gonfia, arruffata e morbida, di un gatto persiano che passeggia innanzi a me e lascio alle mie spalle la confusione delle mie riflessioni.
Ad un certo punto osservo in lontananza una chiesa gotica scivolare giù per una strada, ma è un’illusione che dura un secondo e mi abbandona. Poi, il viso di Blanca entra prepotentemente nei miei pensieri: si proietta nella mia mente come se fosse una foto in bianco e nero, bello e puro come non l’avevo mai visto. La voglio, desidero quella ragazza, ma è limpido che non me la possa permettere. Non siamo destinati a nulla, tanto meno alla felicità. Tuttavia mi è concesso di ammirarne la lucentezza: è seduta su di un letto anni ’50 e sta guardando qualcuno che posa al di là di quello che la foto ha potuto catturare. Mostra il profilo sinistro, lo lascia correre…E dietro di lei, appena sopra la sua testa, c’è un poster che raffigura manovali di nuova yorch pranzare sospesi nel cielo. M’innamoro di lei, di quella foto, degli operai sospesi, di nuova yorch, dell’erba che scintilla, del sole e della luna. M’innamoro del lilla, del verde, dell’arancione e del bianco. Mi lascio andare ai colori come se non li avessi mai visti…E senza rendermene conto sono davanti ad un ristorante cinese. Il fiume è lontano e ora, quello che aggancia i miei pensieri, è il profumo del risotto alla cantonese. Ordino una enorme quantità di cose succulente e unte e fatico a mangiarle tutte, ma non perché non abbia realmente così tanta fame, ma perchè una fottuta macchinetta da gioco è proprio davanti al mio tavolo…E le sue lucette colorate e intermittenti mi richiamano l’attenzione fra un boccone e l’altro togliendomi l’appetito. Quando concludo la mia abbuffata, dopo quasi due ore, l’effetto dei funghi è passato quasi completamente e ciò che mi resta sono un paio di righe sulla carta e un turbine di impressioni da decodificare perché diventino effettivo conoscimento.
(Simone Mignoni)