Chiedi all’aspirapolvere

 

Costretto in casa dall’improvviso esplodere della sua fama, il Nostro si ritrovò ben presto preda di paranoiche visioni. Prendevano vita, nell’ordine: l’asciugapiatti, il tagliacapelli, il tostapane, poi a seguire tutti gli altri utensili della casa composti da verbi e sostantivi.

Non c’era molto di cui si potesse discutere con i suddetti oggetti d’utilità domestica. Il migliore di tutti, nella conversazione, si rivelò essere il poggiapentole, il quale spiccava per capacità di sopportazione del dolore e dunque anche di quello narratogli. L’ostinato assieparsi delle frotte di fedelissimi appollaiati sulla sua cassetta delle lettere impediva al Soave ogni via di fuga dal vialotto principale, ed egli era purtroppo dipendente dalle conversazioni leggere, fonte suprema della sua vena creativa. Così si ritrovò solo nella grande villa, costretto a lunghi appostamenti sull’uscio prima di poter uscire di tre metri per raccattare la bottiglia che il fedele vinaio del quartiere attiguo gli depositava davanti casa ogni giorno.

Anche qualora l’Eterno fosse riuscito a scampare alla folla di diseredati che gli cingeva d’assedio il cortile, c’era sempre la possibilità che qualche ragazzino ‘googleearthmunito’ riuscisse dal suo portatile a zoomare su di lui nell’istante preciso in cui poggiava il piede sul terzo scalino, sede naturale del bottiglione, e rendesse pubblica la sua immagine, fino a quel momento gelosamente custodita.

Dopo un’intensa e commovente riunione con gli elettrodomestici più cari, si era convinto della necessità del trasloco. Cominciò in fretta e furia a predisporre le sue proprietà in enormi scatoloni, che si faceva infilare sotto la porta ancora bidimensionali dal fedele Ciro, amico suo illetterato e pertanto ignaro del suo planetario successo.

Ovviamente, quando si trattava di cazzeggiare, guardare i DVD e poggiare pentole, erano tutti lì in prima fila, i suoi nuovi amici, ma appena avevano intravisto il primo scatolone erano tutti spariti, e l’avevano lasciato solo innanzi all’immane compito. Prima cosa, gettò alla marmaglia accampata nel suo portico gli avanzi del suo frigorifero. I pezzi più succulenti vennero raccolti da un fan dell’ultim’ora di Trapani, il quale ci si arricchì vendendoli su e-bay. Poi, venne il turno dei Suoi scarti di laboratorio, quelle pallottole di carta che riempivano i quattro cestini del suo studio nell’ala est. Con quelli si assicurò un contratto per otto pubblicazioni con la Einaudi Stile Libero. Tutto il resto venne bruciato, unico destino possibile per le cianfrusaglie che addobbino la casa di un’illustre letterato.

Libri, per fortuna, non ne aveva più comprati, sin da quel giorno in cui la maestra gli aveva fatto i complimenti per quel Suo tema a traccia libera in cui aveva descritto la sua giornata tipo in vacanza; convintosi della Propria superiorità letteraria, aveva potuto tranquillamente accantonare ogni altro autore all’infuori di Sé.  

 I CD vennero ridotti a formato mp3, smaterializzati, e riposti in un minuscolo oggetto minimal dotato di cuffie bianche, le foto scannerizzate con cura e messe al sicuro nella sua enorme casella di posta elettronica (dove nessun fan aveva osato assieparsi). Rimanevano le scorte di Amaro Del Capo e la Sua collezione di bicchierini osè del ristorante cinese, i quali erano congiuntamente andati a riempire i bidimensionali (ora tri-) di cui sopra.

Svuotata la magione di ogni oggetto, restava da mondare l’immenso parquet, regalo del duca di Aiazzone. Si diresse con piglio deciso verso la soffitta.

Era la soffitta del Nostro un serraglio di ciarpami inauditi. Ereditata com’era la villa dall’anziano ed eccentrico prozio Proserpina, promettente prorettore all’Università di Propoli, non c’era da stupirsi della varietà di monnezze che ne riempivano gli anfratti più disparati. Appena trasferitosi il Sommo, visto che all’epoca teneva nel cesso un catalogo dell’Ikea che reclamizzava lo stile minimal e non leggeva altro, si era convinto a nascondere ogni cianfrusaglia nell’ ampia mansarda e svuotare la villa a formare un immenso open-space. Non ci si sarebbe mai più recato, se non quelle sporadiche volte in cui veniva colto da blocco dello scrittore, causa venir meno della suprema fonte di ispirazione (vedi secondo paragrafo); allora si inerpicava lungo la scaletta, la apriva per tre secondi, fissava due oggetti a caso per tre e riscendeva allo scoccare del settimo. All’ottavo secondo aveva già incrociato i due utensili –o soprammobili, o vecchi giocattoli, o un vecchio giocattolo + un antico impermeabile- e ne aveva tratto un’ispirazione degna di una short story del buon vecchio Raymond Carver.

Quel giorno vi si sarebbe attardato ben più dei soliti sei secondi. Doveva incontrare un estraneo: l’aspirapolvere.

Mai aveva incrociato questo utensile nei lunghissimi sette anni di vita nella magione. La domestica, che veniva a depurare la villa dai batteri sin dai tempi del prozio prorettore eccetera eccetera, portava il suo, ma questo era prima dell’uscita del magnifico tomo del Nobile “Aspettate primavera, bambini” e dunque anche di “Ad ovest della Croma”. Dopo, con la popolarità planetaria, anche la tata si era fatta celebre partecipando alla prima edizione del “Promontorio della paura dei famosi”, e l’aveva abbandonato. La casa aveva continuato ad esistere imparando a fare a meno della pulizia settimanale dei pavimenti.

Mai, inoltre, aveva il NS scorto il citato utensile, che giaceva dimenticato in un oscuro anfratto, nelle sue sporadiche apparizioni in soffitta; mai, infine, questo era entrato a far parte di un suo componimento, mai, a definitivo suggello di quest’elenco di cose mai accadute, gli aveva il Coso ispirato alcunché.

Si trattava di un’incontro fatale, quello che andava a compiersi in quella soffitta, quel giorno.

La gente ammonticchiata nel poggiolo, ovviamente, ignorava ogni riga di ciò che avete appena letto, e persisteva a spiare invano da buchi della serratura e finestre oscurate.

Il Sublime, intanto, saliva la scala fatale.

 

-Continua e prorompe in tragico finale nella prossima puntata-

 

 

Chiedi all’aspirapolvere – l’atteso seguito

 

Riassunto della puntata precedente: l’Autore, colto da uno sprazzo di lucidità, ha deciso di mettere a disposizione dell’umanità la sua biografia più recente adottando uno stile-verità inedito nella storia della letteratura mondiale. Affidato il suo racconto al miserrimo e qui presente scrivente, la cui penna sgraziata ridimensiona la fulgida prosa del racconto originario per renderla commestibile ai più, il Sopraelevato ci narra dei suoi ultimi giorni nella magione del Prozio Proserpina alle prese con fan invadenti, elettrodomestici poco partecipi delle attività del trasloco e mansarde celanti immani segreti. Proprio ora il Narratore si sta arrampicando sulla scaletta a pioli che conduce all’affollata soffitta, dove risiede ormai da tempo l’Aspirapolvere di famiglia. Continuate a leggere, perché mi hanno detto che a quest’ultimo utensile gli girano parecchio perché il Venerando non l’ha mai utilizzato nelle sue storie, e probabilmente ci saranno dei conti da regolare. Staremo a vedere.

Ignaro del fato, l’Immarcescibile scalava con determinazione la distanza che lo separava dalla botola della citata soffitta. Grazie a Dio –si era detto- non avrebbe dovuto portare giù alcunché lungo quei ripidi scalini, che più d’un suo antenato avevano provveduto a togliere di mezzo, perché aveva deciso che tutto sarebbe rimasto com’era, lassù. Era troppo affezionato a quella assurda composizione di oggetti per distruggerla. Quanti racconti, quante novelle, quanti saggi brevi, prefazioni e sudoku gli avevano ispirato gli oggetti lassù nella loro disposizione originaria. Il pendolo vicino al pozzo, il pozzo sotto al quadro del gatto nero, giusto accanto alla cassa di Ammontillado dannata d’annata, la cassa mezza poggiata sulla stampa della casa di Usher, l’altra metà coperta il cadavere mummificato di Eleonora, il suo golden retriever impagliato. Quella lettera a Babbo Natale mai spedita, in bella vista sotto al busto di Minerva.

Ma poi, chi gliela faceva fare? Tanto più, che probabilmente ci sarebbe tornato, in quella magione, non appena nella nuova si fosse creata la medesima situazione che lo costringeva ad emigrare ora. 

La mano sul pomello della porticina di legno, il Dottissimo pensava così: allora, stì cazzi!

Decisosi a ridiscendere la pericolante scaletta, si interruppe d’improvviso. Dalla stipata soffitta gli sembrò provenissero tre distinti colpi, poi udì distintamente rumori di quadri caduti, lettere strappate, casse dannate sfasciate, cani defunti scaraventati fuori dalla finestra, fan di Abbiategrasso arricchiti da vendita di fu cani a nome Eleonora. Poi, il silenzio.

Infine, anche busti di Minerva sfracellati su stampe di case decadute. Poi, ancora il silenzio. E ancora, Aspirapolveri apparsi su soglie di mansarde, scale traballanti cadenti nel vuoto, schiene di Sopraffini spezzate su parquet Aiazzoni, dolori lancinanti.

Vista annebbiata, il Sempiterno svenne.

Riaperti gli occhi, l’Algido si riscoprì schiantato al suolo, coperto dalla scala che tanti dei suoi ne aveva ammazzati (compreso il prozio) e sovrastato da una figura panciuta.

L’aspirapolvere se ne stava lì, soddisfatto. Immobile. Finchè dalla sua imboccatura non era spuntata una minuscola figura verde.

E tu chi sei? Chiese all’aspirapolvere. Un Folletto, rispose la figura verde. Governo e m’intendo di questo arnese che giace inutilizzato nella tua soffitta. Le darei la mano, ma sono momentaneamente impossibilitato, disse il Paralizzato, io sono – Lo so, chi sei tu, interruppe l’intendente del Coso. Sono anni che ti affacci saccente da quello sportello. Sono anni che eleggi a protagonisti delle tue storie piccoli, inutili soprammobili. Casse di vino. Ritratti ovali, lettere in bella vista. Gatti neri.

Ho capito dove vuoi andare a parare, disse il Morente. Non fu difficile ricostruire tutto. Il Coso ed il suo signore esprimevano a loro modo il rammarico per un destino fuori dai riflettori, strumento mangiapolvere e suo manovratore ironicamente costretti a viverci, nella polvere, metaforica e reale. Tutto ciò, unita all’infiltrazione di liquido radioattivo giunta fin lassù la notte prima (mi ero scordato di dirvelo) ed agli spiriti del cimitero indiano su cui la casa era stata edificata dal prozio (non ve l’avevo accennato nella prima parte? guardate bene) aveva scatenato l’ira del duo, che si era deciso a far piazza pulita prima dei rivali famosi, poi del Solenne stesso.

Quando un aspirapolvere si mette in testa di fare piazza pulita, ed ai comandi si ritrova un folletto posseduto da spiriti indiani e macchiato di liquidi radioattivi, si mette male per scrittori dotati di aggettivazioni maiuscole. E’ la prima regola della scrittura creativa.

Per questo il Notevole sapeva già a cosa stava andando incontro. Tentò l’ultima sortita, azionando colla mano il telecomando celato nella tasca. Improvvisamente, la porta d’ingresso di casa sua si era aperta, e centinaia di migliaia di fan si erano riversati nel Maniero.

Come la mettiamo, stronzi. Disse il Procace ai sue due assassini. Verremo scambiati per un normale aspirapolvere, ingenuo. Risposero in coro. Ahahaha. Rise il Folletto. Ma non conosceva, e d’altra parte come poteva, il destino rio previsto per gli oggetti dismessi dalle persone celebri. Un fan inconsapevole se li portò via entrambi fregandosi le mani.

Il Nostro fu salvato da un altro ammiratore, che allontanato da sé il primo pensiero di impagliarselo e metterselo in camera, lo rianimò e lo accompagnò al Pronto Soccorso. Finì la sua vita su una sedie a rotelle, mentre all’Edonista andò molto meglio: fu dimesso nel pomeriggio completamente guarito. Scivolò però sui gradini dell’ospedale, e fu costretto a letto per tutta la vita.

L’aspirapolvere ed il suo malefico pilota ebbero destino ben peggiore. Inscatolati ben stretti, vennero riposti in una cassetta di sicurezza dal solito fan di Trapani, ma purtroppo la banca venne assaltata con della dinamite da ladri molto inesperti che ne distrussero il contenuto.  

Conobbi il nostro durante il mio servizio volontario alla Croce Rossa. Ormai dimenticato, volle dettarmi questo ultimo racconto per celebrare l’Aspirapolvere ed il suo inetto comandante, e ricordare ai giovani scrittori di osare sempre, e mai assieparsi sulle placide spiagge del clichè.

Olè.

 

(Stefano Ignone)

 

 

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