Samantha provava a dormire
Samantha provava a dormire.
Chiudeva gli occhi che avevano pianto poco prima senza un apparente motivo.
Probabilmente non ricordava ogni cosa.
Rimbalzava insistentemente alla sua memoria una frase scandita dall’amica Vittoria: “Sono proprio stanca di essere madre”. Erano stati soprattutto i suoi occhi a colpirla. Soli ed infelici.
Com’era possibile? Vittoria aveva tanto desiderato quel bambino.
L’aveva voluto subito dopo il matrimonio anche contro il parere del marito.
Samantha era incinta di sei mesi e cominciava a sentire muovere in lei la creatura.
La pancia era cresciuta ma era carina lo stesso, anzi sicuramente le donava.
Prima della gravidanza si muoveva con fare un po’ goffo. Ora invece si appoggiava con grazia sui piedi portando il bacino in avanti. Niente più scatti nei suoi movimenti. Se ne accorse pure Gianni che il suo corpo esprimeva più calma e torpore come quando iniziavano a fare l’amore. Già, Gianni…
“Devo pensare al bambino” si rimproverò Samantha.
Si stava avverando un mistero dentro di lei e solo questo le doveva interessare. Toccò la pancia sotto le coltri ben protetta. Lei ed il bambino dovevano stare al caldo.
Eppure una vena di dolorosa inquietudine la disorientava.
“Sono proprio stanca di essere madre”. Vittoria certo era depressa. Non poteva essere altrimenti.
La sua amica era quel che si dice una gran bella donna. Gambe stupende su fantastiche scarpe a spillo, un corpo invidiabile. Quando incontrò il marito e si legò a lui pareva d’un tratto non desiderare nient’altro: proprio lei che fino a quel momento adorava il fantastico mondo della finanza!
La casa l’aveva arredata tutta da sola. Spesso l’accompagnava a visitare i migliori negozi di antiquariato e d’arredamento. Che belle giornate passate allegramente! Sembrava che il futuro fosse tutto lì e risplendesse meravigliosamente tra poltrone da scegliere e biancheria da comprare.
Un giorno Vittoria le confidò che con Alberto si sentiva sicura e protetta ma di certo non era stato il migliore degli amanti. Non per questo l’aveva sposato e neppure le era mai passato per la testa di sistemarsi con uno di loro.
Lei sapeva quello che voleva. Una casa d’eccezione, un letto autorevole per fare l’amore senza dover pensare troppo alle emozioni vissute e un uomo presente che la riempisse di attenzioni. Aveva deciso di mettere la testa a posto.
Samantha l’ascoltava sempre in silenzio.
Lei era così diversa! Come il giorno dalla notte.
Era sola a quel tempo. Veramente lo era stata quasi sempre ma non se ne lamentava. Non che fosse veramente felice. La sua attività di segretaria presso una nota casa discografica le consentiva di vivere intensamente il suo lavoro e delle buone amicizie. Di questo era contenta. Qualche volta le era anche capitato di scherzare maliziosamente con importanti personaggi dello spettacolo. Si accontentava di essere ricambiata con un promettente sorriso.
Il sonno tarda adesso, troppo. La voce dell’amica Valeria rimbombava ossessivamente nelle sue orecchie:
“Sono proprio stanca di essere madre”. Capiterà pure a lei di non poterne più, di sognare di vivere di nuovo la sua identità senza condizioni? Desiderare di essere solo lei e nient’altro che lei ed il suo corpo insieme, di nuovo autentici e unici come prima?
Essere madri una schiavitù?
Ora il bambino si agitava più del solito.
Scalciava e colpiva ripetutamente la parete dell’addome.
Allungò le mani per calmarlo cercando dentro di se tutta la tenerezza possibile ma non ci fu verso.
Di nuovo un colpo e poi altri ancora. Forti, sempre più forti e dolorosi, almeno così li avvertiva.
“Ti prego piccolo ascolta la tua mamma, tranquillo!” Ma l’implorazione non le riuscì bene. Sapeva che avrebbe voluto sgridarlo. Di questo aveva bisogno, di essere lasciata in pace.
D’un tratto si accorse che il bambino si era fermato. Non lo sentì più, neppure flebilmente.
Era colpa sua forse? Provò a toccarlo prima piano e poi sempre più forte.
Nulla. Sembrava che improvvisamente si fosse sentito respinto, odiato.
O forse era morto…
Per un istante questo pensiero la tranquillizzò. Voleva riposare, dimenticare.
“Sono proprio stanca di essere madre”, lo ripeteva ora ad alta voce senza averne quasi più paura. Il senso di quella frase era sprofondato dentro di lei, proprio come il suo bambino.
Quella sera di sei mesi prima era inizio estate.
Gianni la portò al mare: lei adorava il mare e lo seguì come una bambina.
Non capì mai se accettò per attrazione verso Gianni, verso il mare o per entrambi.
Mangiarono al lume di lanterna in quel piccolo locale di pescatori profumato di conchiglie e di brezza marina.
Le onde si infrangevano ora selvagge ora riposanti.
Parevano sogni d’acqua in movimento.
Gianni la guardava con occhi che volevano rubarle qualcosa. Le donò d’improvviso il bracciale che da ore riposava nella tasca della giacca. Oro bianco con piccole pietruzze d’acqua marina.
Il mare le parlava col suo odore, col suo rumore. Gli occhi di lui brillavano, le ostriche fresche e i gamberetti sul tavolo profumavano ancora. Ah il vino, dimenticava il vino, bianco doc naturalmente.
Era buono e fresco: quanto ne bevve non se lo ricordava più.
Un attimo e rispose “Si, passerò la notte con te”.
L’albergo era in ombra proprio come il suo volto.
Le scale lunghissime, il letto nella stanza dipinta di rosa con terrazzo sul mare pareva aspettasse proprio lei.
Non poteva che essere lì probabilmente…
Le braccia di lui l’avvolsero, i vestiti si levarono soli ma pesanti come se qualcosa o qualcuno li trattenesse.
Il mare adesso si era fatto minaccioso e sentiva urlare le onde.
Quando se ne accorse era già troppo tardi.
La mattina dopo, come ogni giorno, si alzò. La rincuorarono i soliti gesti quotidiani: doccia, denti, vestirsi, truccarsi . Gianni faceva colazione da solo.
Era tutto come prima, pensò, per fortuna.
Non si chiese quella notte cosa veramente Gianni volesse da lei.
Presto sarebbe tornata alla sua vita di sempre. Avrebbe finalmente raccontato a Vittoria di avere avuto un’avventura proprio come altre donne molto più intraprendenti di lei.
Quando tornò a casa respirò di nuovo la sua vita. Aveva fatto l’amore dopo molto tempo con un uomo carino e sicuro di sé e portava un bracciale niente male: ma, a proposito, perché glielo aveva regalato?
Forse per comprarle la notte passata al mare? Credeva Gianni che quello sarebbe stato l’unico modo per averla?
Si, doveva chiarire tutto questo al più presto prima che fosse troppo tardi.
E se volesse sposarla? Lei non credeva di essere pronta a questo passo, non ancora.
Samantha si accorse che stava per addormentarsi e che il bambino ancora non dava segnali.
“Svegliati piccolo non mi spaventare”
Premendo sul ventre cercò di scuoterlo ma non vi fu verso di risvegliarlo.
Il suo corpo sudava nonostante fosse inverno e quelle parole, quelle maledette parole di Valeria continuavano a rimbombarle nelle orecchie.
“Sono proprio stanca di essere madre, se potessi tornare indietro alla mia vita di prima”.
Ma le ultime sibilline parole erano solo sue.
Il terrore della consapevolezza l’aveva oramai intrappolata.
Mio dio che fare, che desiderare ora, in questo preciso momento e per sempre ancora!
Si dimenticò che era troppo tardi: Gianni le aveva chiesto di proseguire la gravidanza.
Il lavoro l’aveva assorbita così tanto dopo quella prima notte passata al mare che si era dimenticata di controllare la data delle ultime mestruazioni.
Gianni nel frattempo era tornato a Roma dove lavorava come pilota e si erano incontrati fugacemente per altre due volte a casa sua. Avevano fatto l’amore con tutte le precauzioni ma non ricordava quella sera al mare cosa fosse realmente successo.
Si, quella maledetta sera…ora, forse, le era tutto chiaro.
Gli abiti erano caduti pesanti insieme alle sue braccia, gli occhi si chiudevano e le gambe non la reggevano. Si era affidata alle braccia di Gianni per non cadere. Sul letto sentì le sue membra calde avvolgerle la pelle fresca e sudata.
Sudata e fresca: strano eppure era così.
Un silente presentimento le bagnava la fronte insieme al sesso.
Così accadde e così fu che l’umido di quella notte le lasciò in grembo la vita sua e di un altro essere.
Si appisolò finalmente senza sapere dare risposte ai suoi tormenti.
Il sonno era agitato.
Credette di essere in cielo ma non era azzurro.
Intorno a lei solo nuvole nere che disegnavano un feto.
Attorno al feto navigavano serpenti che lo volevano inghiottire.
Lei sospesa tra terra e cielo, incapace di volare o di cadere.
L’inferno era arrivato fin lì, fin dove non pensava possibile potesse inghiottirla.
Un sussulto tremendo le sconquassò il cuore e sudava, sudava come quella notte al mare.
Lei ora non poteva più decidere niente. Proprio come allora gli abiti erano pesanti e la sua pelle non li sopportava più.
Di cosa avrebbe voluto spogliarsi per stare bene?
Di sé stessa o di quel bambino che portava in grembo?
E perché non di tutti e due?
Non era forse vero che lei e la sua pancia erano una cosa sola? Adesso non ne era più tanto certa.
Potrebbe anche essere un intruso, chi l’ha chiamato?
Gianni non si chiedeva mai queste cose. Lui a 40 anni si era trovato solamente a scegliere tra il riconoscere o meno un erede. Niente di più, niente di meno. Considerò bene che era giunto il momento di formare una famiglia come fanno tutti prima o poi.
Essere o non essere a lui non è mai stato chiesto.
Fu così che sposò Samantha. Non aveva altre donne che riteneva migliori e il destino gli aveva dato l’opportunità di perpetuare il suo cognome
Avrebbe continuato la sua vita di sempre con la differenza che a casa una donna avrebbe atteso il suo ritorno e un bimbo prima o poi l’avrebbe chiamato papà.
Anche quella notte era in viaggio, solcava i mari ed il suo cielo era vero. Scuro ma certo. Tra poco sarebbe arrivata l’alba e con l’alba avrebbero riposato, lui ed il suo corpo ancora intatto, in un elegante Hotel. Nulla era cambiato, solo il pensiero di tanto in tanto correva a quella improvvisata famiglia che lui e Samantha si erano ritrovati a formare.
Samantha nel suo letto cercava di ricordare il volto di Gianni e di quanto fosse diverso il volto della sua vita fino a sei mesi prima. Le sembravano meravigliose quelle passeggiate che si concedeva dopo il lavoro a guardare le vetrine. Erano colme di offerte per donne giovani e carine, snelle e indipendenti.
Ecco lei si sentiva proprio così allora come quel vestito di seta morbido che fluiva libero dalle cosce del manichino.
Se fosse stata quel manichino adesso sarebbe ancora li a rappresentare la vita senza capire, a guardare dall’alto della propria indifferenza le sofferenze altrui.
Il suo tormento invece apparteneva esclusivamente a lei e forse a quell’essere che pareva scomparso dal suo ventre inerme.
Essere o non essere madre ma quando: ora, poi o mai?
Quella notte, nel pieno dei suoi incubi, cercò un sogno che potesse aiutarla.
Un sogno che non fosse altro che la sua nuova dimensione di donna.
Si ripresentò solo allora il volto di sua madre.
Era tornata bambina e sorrideva al sapore del seno ritrovato, della voce che da dentro la cullava “dormi bimba mia, dormi che quando sarai mamma non dormirai così”.
Non sapeva il giorno dopo cosa di sé stessa avrebbe ritrovato. Se il suo utero contenesse rabbia, paura o speranza.
Sentì al suo risveglio l’istante
che coglie il cuore dei cuori,
il ripetersi dell’alba e del tramonto,
il risveglio e la morte del respiro,
sentì il tempo scorrerle nelle vene
e come una dea testarda approdò
nel vento e come il vento ondeggiò
ora forte ora piano, urlando di gioia e dolore
Sorridendo al sapore del seno ritrovato
ritrovò in lei il canto dell’infinto
essere o non essere…
Ma quando: ora, poi o mai?
(Oriana Costanzi)
L’inverno era alle porte e il tramonto oscurava di già il cielo.
Sul mare agitato le barche dei pescatori si confondevano con le nuvole, grigie come l’anima di Clara.
Lei custodiva, intrappolate, dolorose tracce di sconfitta.
Il vento gelido non le avrebbe impedito di raggiungere la spiaggia.
Il mare d’un tratto si calmò, come se il suo arrivo fosse qualcosa di prezioso.
Passeggiava e respirava l’aria marina danzando nel corpo di quell’essere: lei un granello di sabbia.
Chiuse gli occhi e mandò un bacio all’universo.
I capelli, lunghi e ricci, ebbero un impeto in volo, assumendo l’aspetto di un aquilone.
Da bambina vi giocava spesso col padre. Ora l’aveva lasciata, solo che lui non voleva morire.
Invece Fiorenzo era morto senza accorgersene.
Fu un amore inaspettato e coinvolgente, condito da un’attrazione delicata ed intensa.
Poteva narrare di dolcezze e profumi, abbracci e baci dal sapore di marmellata.
Le andava sempre incontro con l’andatura di chi ti vuole abbracciare per non lasciarti più andare.
Andare, dove? Sconfinate, le sue emozioni ancora vagavano zingare alla ricerca di una terra d’amare.
E se fosse stato proprio quel sogno ad imbrogliarla?
Ricordò di quando dovette ripetergli la frase semplice che stava esprimendo:
“ Stasera il cielo è più bello del solito. Vedi, c’è la luna piena”
Cenere il suo cuore di fronte a quel viso sorpreso ad emigrare.
Si era convinta a rientrare. Una voce glielo aveva suggerito con tono sereno ma deciso:
“Clara, tesoro, ora tutto è confuso. Cielo e mare sono insieme in attesa della notte. Lasciamoli soli”.
Era giusto così. Un granchio di grosse dimensioni le passò a fianco girandosi verso di lei. Che le voleva dire quel tenero animaletto che pareva leggere nei suoi pensieri?
Sulla stradina che portava a casa, si fermò sorpresa.
Un uomo di mezza età s’incamminava lentamente verso la spiaggia. Nelle mani uno sgabello.
Dove andava con questo buio?
L’uomo parve non notarla: lei, invece, sentì salirle forte un’emozione.
I suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quella prepotente, intima curiosità.
L’inquietudine che sino a quel momento l’aveva sedotta si trasformò in improvviso bisogno di sapere.
Guardò la scena di fronte a sé: l’uomo, seduto di spalle, a tu per tu con il mare.
Senza curarsi delle scarpe che si bagnavano, inspirava ed espirava ad ogni ritorno dell’onda..
Inconsapevolmente si ritrovò a seguire lo stesso ritmo: due esseri indifesi in perfetta sintonia con la tenerezza del mare d’inverno.
Un cane le passò accanto. Si accovacciò ai suoi piedi infreddoliti.
La fissava con un’espressione di sofferenza così nitida da potersi rispecchiare, tanto che gli occhi di Clara piansero, d’improvviso, tutte le lacrime trattenute.
Non aveva più bisogno di pensare, solo di annegare nel suo dolore, proprio come l’uomo si stava lasciando andare alle emozioni del suo mare.
La notte calò lasciando l’uomo seduto a respirare onde buie e leggere.
Davanti al caminetto acceso, quella sera, cercò una risposta. Come può un essere umano avere tanto bisogno del mare? Anche lei era stata travolta dallo stesso istintivo desiderio quando, a Bologna, Fiorenzo le comunicò di aver accettato la sua richiesta di separazione.
Glielo disse con fare incerto, ma lei lo sentiva convinto:
“Clara sono molto dispiaciuto. Non posso costringerti a vivere nell’infelicità. Mi chiedi se sono infelice anch’io? No, non lo sono.”
Quando la sua grottesca voce terminò di parlare, lei era già volata lontano, dall’altra parte del mondo.
Avrebbe raggiunto la casa al mare, dove, da piccola, si divertiva con il padre.
Linda, la sua amica d’infanzia, le aveva consigliato di ripensarci. Fiorenzo aveva bisogno di una donna concreta. Questo è il matrimonio: vita solida e certa, soprattutto quando non palpitano più le pulsioni sanguigne dell’inizio.
Prima di partire sostò nella vecchia casa dei genitori.
Cosa era venuta a cercare Clara in quella casa?
Le pareti l’invasero di odori familiari. Per un attimo il tempo si era fermato.
Il mare la chiamava a più di cento chilometri di distanza con la voce di suo padre e lei ancora resisteva.
Quindi comprese. Chiedeva aiuto, la forza necessaria per continuare a sperare. D’istinto afferrò un libro.
Lesse il titolo: “Il poeta e la bambina”, autore anonimo.
Si convinse che doveva portarlo con sé.
Quella notte di mare era fresca e densa. Il letto in ferro battuto, dipinto in azzurro, un buon rifugio. Sul comodino il telefonino, spento.
Una piccola abat-jour accesa rifletteva il titolo del libro stampato a caratteri gotici, abbastanza spesso da leggere una notte intera.
L’aveva tra le mani e il mistero circa il suo autore ancora una volta sapeva di mare. Se fosse stato altrettanto profondo avrebbe potuto annegarvi: ora non aveva più zavorre a cui aggrapparsi.
Decise di rischiare.
Si accomodò con due cuscini sotto la schiena. La trapunta di cotone che fungeva da copriletto era ricamata a mano, su di essa due lettere color oliva, elegantemente rifinite: G.P.
In famiglia nessuno aveva queste iniziali. Non ricordava quella coperta giallo ocra, certamente datata nelle sue fattezze. Avrebbe chiesto spiegazioni a Iolanda, la conoscente di famiglia a cui era stata affidata la casa.
Un cane lontano, forse lo stesso di prima, abbaiava alla luna, lasciandole la gradevole sensazione di non essere sola al mondo.
Nelle mani il libro dalla copertina verde oliva. Notò che i due colori, quello della trapunta di cotone e della copertina del libro, adesso che erano vicini, esprimevano grande intimità e armoniosa complicità.
Pensieri senza senso di una donna fuori dal mondo! Là fuori chiunque l’avrebbe pensato, tranne l’uomo della spiaggia, di questo era certa.
Si allungò per accarezzarne il tessuto e scoprì che odorava di biancospino, l’essenza preferita di sua madre.
Ma perché stasera pensava a lei?
Da anni non avvertiva la sua mancanza.
La dota ereditata era stata sigillata e riposta in quella casa: della coperta giallo ocra con la sigla G.P. nessun ricordo.
Un altro mistero si era aggiunto a quello dell’autore del libro che ora riposava, chiuso, accanto a lei.
La sua gattina andò a svegliarla di buon mattino. Clara si alzò insonnolita per la sua razione di latte. Nel frigorifero non ci doveva essere altro.
Fu sorpresa di trovarvi un dolce fatto in casa e della frutta di stagione.
“Grazie Iolanda, sei stata molto gentile”, pensò con gratitudine, rimproverandosi di non aver compreso quanto fosse disponibile quella donna.
Poi trattenne il fiato. Come sapeva del suo arrivo? In questo periodo invernale la zona è deserta ed il borgo lontano. Non l’aveva detto a nessuno e nessuno l’aveva vista, tranne… si, tranne l’uomo della spiaggia!
Corse verso la camera da letto per rivestirsi, decisa a risolvere l’ennesimo enigma, quando, non volendo, inciampò nel libro verde oliva.
L’incidente per fortuna non lo danneggiò, però, chissà come, era spuntato un foglietto di quelli che non si usano più, piegato in così minuscole parti da temere di aprirlo. Le mani di Clara lo raccolsero con tremore, poi lo aprirono con la delicatezza con cui si staccano i petali di un fiore.
Si trattava di una vecchia scrittura per via delle pieghe che segnavano marcatamente la carta.
Prima di leggere chiuse gli occhi, respirando profondamente. Era una poesia dolcissima ma dal tono passionale
io ebete d’amare senza disperar in te
eterno frutto squisito d’oltreoceano
incolto e vivo ”
G.P.
Chi era G.P. e perché la misteriosa coperta riportava le medesime iniziali?
Clara raccolse tutta la calma possibile.
La prima pagina del libro riportava una didascalia:
“A Te Donna, tesoro delle mie acque, ovunque sei, ricordati di non morire mai”, G.P.
Seguivano pagine di filigrana delicatissima, color giallo ocra, simile a quello della misteriosa coperta.
Le poesie erano stampate con gli stessi caratteri gotici. Brevissime strofe di sole si alternavano ad altre battute da uragani tremendi.
Si trattenne tutta la mattinata in casa senza riuscire a completarne la lettura perché, ad ogni pagina, si espandevano sensazioni che chiedevano di essere ascoltate.
Non si spiegava come mai suo padre conservasse il libro..
Di nuovo guardò fuori dalla finestra, verso il mare.
Lei aveva ancora dentro di sé il tenero movimento delle onde.
Avvertì d’un tratto lo stesso respiro in quel libro.
Il tempo reale scorreva senza che lei esistesse.
Le poesie narravano di terra, mare, cielo e la delicatezza del linguaggio lasciava trapelare chiari sentimenti d’amore la cui intensità non poteva essere più celata.
Fu quando lesse “Donna di luna”che assunse una posizione fetale.
“credici ancora amore
sappi di essere
luna e mare
a languido agire
di ritorno
pervade la fiamma
il corpo mio fatto di te”
Chi poteva essere tanto grande da spaziare all’infinito toccando l’anima in fuga?
Esisteva veramente un uomo così?
La morbidezza della vestaglia lasciava intravedere un corpo di donna invaso dallo stupore.
Riemerse, intatto, il ricordo di Fiorenzo.
Si passò una mano sulla fronte quasi per volerlo cancellare.
D’un tratto il telefonino vibrò. Nei suoi occhi sorpresa e timore.
Non ricordava di averlo acceso ma era possibile che lo avesse fatto senza volerlo.
De resto la sua testa da ore era altrove, esattamente dentro di lei.
Poteva ascoltare il caldo battito del cuore.
Controllò il nominativo della chiamata senza risposta: “nessun numero”.
D’istinto guardò l’orologio da polso. Si era fermato sulle 7.00.
A quell’ora si era alzata per dare il latte alla gattina,calciato involontariamente il libro e trovato il bigliettino.
Lei credeva ai segnali del destino. Spesso, quando la quiete interiore si impossessava di lei, riusciva ad avvertirli nettamente.
Trasalì sentendo bussare alla porta.
“Iolanda, Clara. Sono in compagnia di un conoscente”
D’istinto, prima di aprire, nascose il libro.
“Le presento il dott. Giordano Luca”
Il viso sciupato, struccata ed i capelli legati alla meglio, era comunque a suo agio. Una donna di quelle che amano apparire per come sono. E non era male comunque. Gli occhi a mandorla color nocciola illuminavano il volto bianco di una donna bruna, a metà tra la bellezza mediterranea e quella nordica.
Il dott. Giordano, un uomo ancora giovane, sedeva imbarazzato sul divano accanto a lei. Fu il primo a parlare.
“ Clara, spero di non disturbata. La signora Iolanda mi ha portato da lei perché vorrei acquistare casa. Mia moglie è originaria di queste parti e desidera tornarci per le vacanze. Ci terremmo molto”
“Capisco, ma mi prende alla sprovvista. Questa casa apparteneva a mio padre e capirà che, da quando lui non c’è più, è un ricordo da cui non posso separarmi. Tra l’altro, da piccola, venivamo sempre qui...”
Gli occhi a mandorla si velarono di tristezza.
Dovrò chiarire tutto con Iolanda, pensò indispettita Clara.
Rimasero sole le due donne.
Iolanda captò il suo malumore e cercò di tranquillizzarla.
“Ho creduto che forse, dopo la morte di suo padre, avrebbe potuto anche venderla. Se non è così, mi scusi”, concluse con fare imbronciato.
“ Iolanda chiudiamo questa storia. Adesso però sono curiosa di sapere come l’hai saputo”
“Saputo cosa?”
“Del mio arrivo”
“Dall’ uomo che mi ha mandato”
Clara ammutolì.
“ Mi avvertiva del suo arrivo e che avrei dovuto portare qualcosa da mangiare. Così verso sera sono passata, ma lei non c’era.”
“ Ma chi era?”
“Ha detto di non preoccuparmi, che lei avrebbe capito”
Che cosa doveva capire Clara?
La testa le girava adesso, non aveva mangiato nulla ed era terribilmente confusa.
La torta era buonissima. Per il resto Iolanda si prendeva troppe libertà.
D’un tratto si accorse di non averle chiesto della coperta color giallo ocra. Non poteva aspettare oltre.
Fuori l’inverno marino sbraitava mentre, a passo spedito, s’affrettava verso la casa di Iolanda.
Il cane l’aspettava all’angolo impaurito e solo, un compagno ideale.
Passando per il Viale dei Platani le ritornarono le grida dei suoi compagni quando, da ragazzina, si divertiva in bicicletta.
Ecco la casa di Iolanda. Poteva distinguerla in lontananza.
Forse non vedeva bene: l’uomo con cui s’attardava sulla soglia sembrava lo stesso della spiaggia.
Allungò il passo per raggiungerli, eccitata dalla sua scoperta. L’uomo, ora, salutava Iolanda in tutta fretta e lei, furtivamente, rientrava in casa.
Il cane capì di essere giunto alla meta.
Suonò il campanello con il cuore in gola.
Nell’attesa, eterna, il vento gelido sferzava il viso di Clara, aiutandola a mantenere la calma.
“ Clara, che sorpresa”
“Iolanda con chi parlavi poco fa?”
“ A chi si riferisce ?”
“A quell’uomo di prima, qui fuori”
“Ah, mi ha chiesto dove abitasse il parroco”
“Vuoi dire che non l’hai mai visto?”
“ Non mi pare, ma perché tante domande?”
Nel salotto di vecchia maniera, tra soprammobili e quadri di poco conto, Iolanda e Clara continuavano la loro conversazione. La prima irritata, con l’aria di non capire cosa volesse Clara con le sue insistenti domande; la seconda risentita, con la certezza di essere stata ingannata dalla vecchia conoscente di famiglia.
Alla fine un the caldo sedò l’agitazione di entrambe.
Era il momento di mettere in chiaro la provenienza della misteriosa trapunta.
Tirò un sospiro leggero e, con apparente noncuranza, chiese:
“Iolanda ricordi la dote di mia madre?”
“Si certo, io stessa l’aiutai a prepararla.”
“Mi chiedevo se la coperta giallo ocra, ricamata a mano con le iniziali G.P. che ho trovato sul letto, le appartenesse. Io non la ricordo, ma forse tu si”
Iolanda si mostrò titubante.
“Quale signora Clara, io al momento non so”, ma la voce uscì incerta.
Il cane della spiaggia le fece compagnia per l’ultimo tratto verso casa.
Si accomodò nell’atrio dell’ingresso. Mangiando avidamente una buona porzione di torta si appisolò.
Lei, al contrario, non riusciva a dormire. Controllò con ansia il libro nel cassetto: temeva di non ritrovarlo.
Di nuovo vibrò il telefonino.
Era Fiorenzo.
“Tutto bene, non ti preoccupare”
“Mi vuoi parlare di quello che ti sta succedendo?”
“Sono troppo confusa adesso, scusami, ti chiamerò se ne sentirò il bisogno”
“Quando torni a Bologna avvisami, dammi tue notizie. Sono preoccupato”
In altri momenti, quelli più felici, non avrebbe potuto tacere l’inquietudine che adesso la manteneva viva.
Teneva nelle mani il libro. Sperava che l’aiutasse ad immaginare l’anello mancante della storia.
Perché questi misteri si affacciavano solo ora e non prima, quando i suoi genitori erano vivi?
Cosa li aveva scatenati proprio adesso, nel bel mezzo della sua crisi matrimoniale?
Perché quel libro era finito nelle sue mani come se l’aspettasse da tempo?
L’alba sorse tenera e sincera, voluttuosa e chiara, tanto che le sembrò impossibile aver vissuto una notte eterna.
Il nuovo giorno le portò appetito.
L’aria leggera elargiva speranza. Il torpore della notte precedente le aveva lasciato il timore di non potersi risvegliare mai più da quello stato di dormiveglia.
Lungo la strada, inaspettatamente, incontrò Luca Giordano.
“Buongiorno, non è più partito?”
“Il brutto tempo me lo ha impedito. Sono ospite dell’albergo”
Un ottimo spunto per rintracciare l’uomo misterioso, ma anche la spiaggia non era da scartare.
Confessò a sé stessa una gran voglia di rivederlo. Si era sentita così in simbiosi con quell’essere sconosciuto da non poterlo dimenticare.
Decise per la spiaggia.
La stradina era sempre là, solitaria. I pini emanavano un odore così pregnante da poterlo respirare a pieni polmoni. Sembrava davvero deserto quel luogo, con i lidi chiusi e le insegne spazzate via dal vento.
Volle far giocare il cane gettando verso il mare un rametto. Soddisfatto dell’iniziativa, l’animale corse a tutto fiato verso l’acqua .
Fu allora che avvertì la sua presenza .
L’uno di fronte all’altro si fissavano in silenzio.
Il cane, scodinzolando, gli andò incontro. Non vi erano dubbi, l’animale gli apparteneva.
Girandole la schiena l’uomo riprese a passeggiare.
Di tanto in tanto sostava come se volesse attenderla.
Poco dopo scrutavano insieme l’orizzonte marino.
La sua voce rauca la colse di sorpresa.
“Le piace il mare, Clara?”
“Si, ma lei conosce il mio nome, posso sapere il suo?”
“Sono Paolo Giordano. Alcuni anni fa possedevo una casa accanto alla vostra”
Un nodo le salì alla gola: G.P., la sigla del poeta!
La riflessione fu inevitabile.
“E’ qui da solo, sig. Giordano?”
“Con mio figlio Luca”
Parlargli del libro e della coperta era ancora inopportuno. Doveva aggirare l’ostacolo.
“Possedeva una casa vicino alla nostra? Io non ricordo”
“Lei, Clara, aveva pochi anni “
“Mi scusi, all’improvviso avete deciso di comprare di nuovo casa?”
Non giunse riscontro.
Provò ad insistere:
“Ha trovato casa?”
“No, io non voglio una casa qualunque, ho bisogno della tua, Clara”
Di nuovo il respiro dell’uomo si fece sommesso, quasi faticoso.
Il cane si avvicinò leccandogli la mano.
Lei lo lasciò in preda alla sua malinconia.
Perché Paolo Giordano voleva proprio la sua casa?
Il rientro fu piacevole ed intrigante.
Quelle mura le conosceva da sempre. Quel signore no, non lo ricordava, a meno che…
Era agosto, il giorno del suo compleanno. Come sempre le organizzarono una bella festa. Alla fine della serata rimase sola col padre. Sua madre era misteriosamente scomparsa. Clara, risentita della sua assenza, scappò fuori casa alla sua ricerca.
Nel buio della pineta, avvolti in un caldo abbraccio, una coppia in intimità. L’uomo le parve appena di riconoscerlo.
Il dubbio che la donna fosse sua madre l’aveva sempre avuto, rigettandone il pensiero.
Ora le faceva lo stesso effetto. Eppure, dando retta al proprio intuito, riteneva possibile che quei due amanti fossero proprio loro.
Iolanda aspettava Clara a pranzo.
Comprese che la giovane donna viveva un periodo difficile.
Con la madre di Clara si conosceva da sempre perché era stata a servizio della sua famiglia. La giovane Ada era sempre nervosa e triste. Cresceva a fatica l’unica figlia, la quale non capiva perché la madre non le volesse bene. Non era così, ma come spiegarlo ad una ragazzina?
Fu per caso che scoprì la causa del suo male.
Era un fine settimana di Aprile.
Passando davanti all’abitazione di famiglia, che credeva chiusa, spiò tra le persiane semi aperte e fu allora che seppe.
Custodiva questo segreto da anni, adesso però non avrebbe più potuto tacere.
Mentre raggiungeva a piedi la casa di Iolanda, Clara respirava una delle ultime poesie del libro.
“Impercettibile essere,
possibile sirena
di un cuore vivente,
al di là di me e di te
resiste l’incanto
che chiama
lontano…
non perderne il senso
…
è il tuo momento”
Sembrava scritta per lei, come se il poeta avesse previsto ogni cosa.
Iolanda le raccontò dell’affetto che sua madre aveva per il marito, della sua passione per Paolo Giordano.
Di quando Paolo fu costretto a trasferirsi all’estero. Fu allora che chiese ad Ada di seguirlo. Paolo, non riuscendo a rinnegare la sua devozione, si separò effettivamente dalla moglie.
Quando egli partì, la depressione della madre si trasformò in una vera e propria malattia.
Si riprese parzialmente solo per Clara.
Ora il sig. Paolo era tornato. Voleva il suo aiuto per comprare la casa di Ada e restarvi sino alla fine dei suoi giorni. Le chiedeva di tacere ancora.
“Iolanda, ma del libro di poesie e della coperta che mi dici?”
“Non so risponderti davvero, cara Clara”, ed era sincera.
Solo il poeta avrebbe potuto mettere l’ultimo tassello a questa storia.
Lo rintracciò in albergo.
“Buongiorno Clara, è giunto il momento”
“Lo credo anch’io sig. Giordano, anzi G.P.”
Lo disse in tono sarcastico, preoccupata, per la prima volta, di difendere la memoria di suo padre.
Chissà se aveva saputo! Certo a lei non fece capire mai nulla.
“Clara vuoi sapere del libro, vero?”
“Si e anche della coperta che ho trovato sul letto con le sue iniziali”
“Prima di partire scrissi quella raccolta di poesie per tua madre. Mi aveva comunicato che non sarebbe venuta con me. Le dissi di portare anche te. Il problema, però, era un altro. Tuo padre aveva saputo da poco di essere malato di cuore e lei temeva che non superasse il trauma. Gli voleva molto bene anche se amava me.”
“Quel libro l’ho trovato a Bologna. Poi la trapunta giallo ocra con la stessa sigla . E’ stato lei a metterla sul mio letto?”
“Quando sono arrivato la casa era vuota e volevo passarvi la notte, anche una sola, per ricordare. Avevo ancora la chiave. Ada mi aveva regalato la trapunta di cotone che usavamo nei nostri incontri. L’ho portata sempre con me. Poi il tuo improvviso arrivo. Ho dovuto uscire in tutta fretta ”
“E’ stato la sera che l’ho vista in spiaggia. Non mi ha notato?”
“ Ero troppo preso dai miei ricordi”
La voce ed il volto significavano una grande sofferenza. Poi continuò:
“E’ l’anniversario del nostro ultimo incontro. Da quando tua madre è morta, ogni anno torno sulla spiaggia a sentirla respirare”
L’emozione ruppe gli argini nel cuore di Clara.
“Vorrei vivere in quella casa i miei ultimi anni. Quando sono disteso nel nostro letto la sento ancora vicina a me, capisci?”
Ammutolita, Clara ebbe solo la forza di pensare di nuovo a Fiorenzo.
Da sola, nel letto di ferro battuto, la notte sembrò un’altra cosa. L’alba di un nuovo modo di riconoscere l’amore.
Rileggeva le poesie che più sentiva sue: il passato era lì, sempre più presente.
Rivide sua madre, giovane e bella, quando l’accompagnava a scuola o a fare compere. Sorrideva solo con le labbra. Gli occhi vitrei, sempre.
Era questo che l’aveva allontanata da lei. I bambini sanno comprendere i segnali dell’anima.
Forse per questo ancora oggi lei ascoltava la vita con il candore dei sensi.
La sua gioia fu immensa quando sentì di non avere più paura di perdersi.
La spiaggia oggi è calda.
Un sole brillante l’attraversa e le barche sono in mare per la pesca.
I proprietari dei lidi riparano i danni del maltempo. Vi sono persino dei bambini che giocano con gli aquiloni.
Lei cerca di riparare le sue lacerazioni.
“ E’ un buon giorno questo per provarci”. Parla da sola, ma certo l’ha detto ad alta voce perché qualcuno le risponde.
“E’ un buon giorno per non lasciarti”
Fiorenzo l’osserva da un po’: nelle mani il libro dalla copertina verde oliva.
Nei giorni che lei era stata lontano, comprese di volerla ancora, più che mai, vicina.
E’ la luce della sua giornata ed anche il suo tormento se, risucchiato dalla quotidianità, dimentica di amarla. Non l’avrebbe mai più permesso.
Adesso tutto è chiaro, sole nel mare.
Il padre di Clara non aveva osato più celare, per gelosia, un’opera poetica capace di cogliere l’essenza dell’animo umano.
Sarebbe stato il suo ultimo dono per Clara.
G.P. sostiene di risentire la voce di Ada nelle sere d’inizio inverno, quando, davanti al mare, respira l’aroma della poesia che Lei dedicò al loro amore
“Quando l’assenza si fa cupa
ritrovo, in penombra
l’intensa trama del libro
che solo le tue mani
hanno scritto su di me”
(Oriana Costanzi)