Chissà cosa si nasconde là fuori
Forse mi chiameranno Jacopo, ma l’unica cosa certa è che fra meno di un mese vedrò anch’io la luce. Non riesco a credere di essere arrivato fino a qui, eppure sono ancora all’inizio. Molto probabilmente devo farmi mille domande sul mio futuro e sulla gente che mi circonderà, ma adesso mi preme solamente ricordare passo per passo ogni mio istante. I miei genitori sono sposati da sei anni, e da ormai diverso tempo desideravano avere un figlio. Otto mesi fa ho deciso di regalare loro questa opportunità e così adesso sono qui, conscio che riempirò i loro cuori di una gioia immensa. Appena hanno scoperto di aspettare un bambino i miei genitori sembravano impazziti e più innamorati di prima. Dopo le analisi sulla loro capacità di avere un figlio non ci speravano più e si erano quasi rassegnati. I primi mesi sono trascorsi tranquillamente. Mio padre ha cambiato lavoro ed è stato assunto in una ditta dove guadagna un po’ di più, mentre mia madre, la quale lavorava in un calzaturificio è andata subito in maternità. Sono ormai molte settimane che stiamo a casa tutti i giorni e ci allontaniamo solamente per fare la spesa o altre commissioni importanti. Mi dedica molto tempo delle sue giornate, mi fa ascoltare la musica, avverto le sue carezze e mi parla, quasi come se fossi già lì con lei. L’altro giorno ha scritto anche una poesia per me, e poi me l’ha letta ben tre volte, anche se alla fine si è messa a piangere. Anche se non ricordo esattamente tutto, era più o meno così:
Sono ancora qui,
e fissandoti scorgo le colonne d’Ercole della mia mente,
dove pochi giungono consapevoli di essere umani.
Non lasciare che la tua anima si scuota sgomenta
se tutti non ti capiscono.
Non condannarti e proclamarti la legittima causa.
Sono loro,
esseri perfetti
nei vincoli della loro comoda ragione,
privi dell’umana vista
e impossessati dall’insensibile tatto.
Ignora le ignave vite che ti spregiano
e dona una carezza a coloro che come me
ti sfiorano dolcemente.
Scala la tua montagna,
non fermarti mai,
dentro di te pulsa un’anima come tutte le altre.
Dopo cinque mesi dalla mia comparsa, mia madre si recò con mio padre per un esame “importante”. Tuttora non so che tipo di esame sia stato, ma ricordo benissimo i risvolti. Sentivo una grande confusione attorno a me e tanta disperazione. Appena le acque si furono calmate capii che c’era qualcosa che non andava… Proprio in me! Il dottore disse a mia madre che io non ero come gli altri, ma che eroe sarei sempre stato “un diverso”. Spiegò che ero affetto dalla Sindrome di Down e anche se non so cosa voglia dire, so che sono un “diverso” e ciò mi basta per capire che le cose per me andranno o troppo bene o troppo male. Il dottore parlò anche di un possibile aborto, ma notai nelle risposte dei miei genitori una vena di rabbia e delusione. Da quanto sono riuscito a capire, abortire sarebbe rinunciare a me prima che io nasca. Se sapessi dove vado potrebbe andarmi bene, ma io preferirei vivere la mia vita da diverso, qualunque cosa comporti. L’indomani dopo l’esame rivelatorio mia madre ricevette la visita della sua migliore amica Valentina. Non mi è molto simpatica, ha la voce stridula e mi sembra sempre arrabbiata. Mi svegliò dal mio pisolino pomeridiano e non tirai calci a mia madre per farla zittire, anzi ascoltai ogni sua parola, e se avessi potuto sarei uscito subito e l’avrei cacciata di casa. Anche se è una vecchia zitella implorava mia madre ad abortire, che con me non avrebbe mai avuto una vita semplice e che esseri come me non meritavano di essere messi al mondo causando sofferenza e vergogna. E’ stato in quell’istante che ho capito che la mia vita non sarà facile e che sarò un diverso negativamente. Nei giorni successivi alla visita di Valentina sentii piangere spesso mia madre e una sera ebbe una brutta discussione con mio padre. Capii che aveva cambiato idea, che le parole della sua amica l’avevano profondamente abbindolata e sembrava quasi che parlasse con la sua bocca. La udii urlare che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato troppo difficile, un fardello troppo grande da portare. Il giorno dopo, reduce da una notte insonne, si recò dal dottore, decisa a gettarmi nell’oscuro indomani, quello che avevo sentito appellare “aborto”. Parlò a lungo con il dottore e le comunicò la data dell’operazione. Incerto sul mio futuro mi sentivo senza speranza e avrei voluto restarmene dov’ero mesi fa. Giunto il fatidico giorno, mia madre si recò in ospedale e capii che per me stava iniziando un nuovo inizio, oppure una fine. Non volevo immergermi nell’ignoto, dovevo fare qualcosa. Iniziai a dare calci fortissimi a mia mamma, fino a farla piegare dal dolore. Credo che ad un certo punto si sia seduta e toccata la pancia. Poco dopo la sentii correre, sempre toccandosi la pancia, e urlando “questo bambino deve nascere, non può morire per un capriccio!”. Tornò a casa, abbracciò mio padre e gli disse di aver rinunciato alla folle decisione. Avvertii le loro mani accarezzarmi, avvolgermi e coccolarmi. Ce l’avevo fatta, li avevo convinti a tenermi dove mi trovavo. Alcuni giorni dopo Valentina si presentò nuovamente a casa nostra, certa che mia madre avesse commesso l’orribile gesto. Quando si accorse che c’ero ancora iniziò ad offendere mia madre e fu allora che lei la cacciò, implorandola di non farsi più viva. A dire la verità non è stata l’unica che ha provato a persuaderla, ma è stata sicuramente la più insistente. Sono orgoglioso di mia madre, nonostante tutto è riuscita ad andare avanti a testa alta, seguendo solo il suo istinto. Non sono sicuro che le persone là fuori sappiano che in realtà noi che siamo dentro capiamo tutto, e qualsiasi gesto o parola ci tocca immensamente e ci forma internamente. Nei mesi successivi sino ad oggi tutto è andato bene ed io non vedo l’ora di uscire, in quanto questo posto mi risulta già troppo stretto, soprattutto se paragonato alla voglia che ho di vedere cosa si nasconde fuori.
(Sara Brillanti)