Ho sognato di volare…

 

La notte appena trascorsa ha lasciato nella mia mente una strana sensazione. Non so definirla, ma mi piace perdermi nella sua scia.

Provo un senso di quiete e di benessere nel rivedere le immagini del mio sogno. Piano piano la mia mente torna indietro, alle ore appena trascorse.

Come le tessere di un mosaico, i ricordi si ricompongono e il sogno riprende forma…vedo le sequenze del mio straordinario sogno, della mia incredibile fantasia.

Rivedo il blu del cielo mentre mi perdo ad esplorare la sua perfetta immensità…mi specchio nella sfavillante luce delle diamantate stelle…gioco sulle nuvole…esploro il mare…e sento la luce del sole regalarmi il calore rassicurante del nuovo giorno che sorge su una rosea alba.

Mi chiamo Sara Cordeleva. Ho un nome comunissimo e un cognome stranissimo! Che contraddizione! Qualcuno sosteneva che avevo origini russe

ma, nessuno me ne ha mai dato prova.

La mia vita è molto semplice. Al mattino, dopo aver preso un caffè nero, chiusa nel mio cappotto blu, lo stesso che indosso per sei anni, prendo l’autobus numero 123, sempre stipato di uomini, soprattutto operai, donne, impiegate, commesse e studenti con zaini pieni e ingombranti.

Cinque fermate mi dividono dal luogo in cui lavoro. L’autobus si ferma proprio davanti all’insegna luminosa del grosso negozio di articoli sportivi in cui lavoro come impiegata ormai da cinque anni.

Mi occupo della contabilità. E pensare che la matematica non era il mio forte! Ma questa responsabilità non mi crea grosse difficoltà, devo solo contare. Questo mi ricorda un po’ la mia infanzia, quando giocavo con i numeri di plastica e immaginavo di essere la commessa di un negozio. Che strano, sembra che la finzione sia divenuta realtà.

Inforco i miei occhiali e dalle nove alle due, l’ora in cui chiude il negozio, resto seduta davanti ad una scrivania di legno, su una sedia girevole, a controllare bolle, fatture, costi, entrate e a preparare ricevute. Solo numeri e conti scritti  con certosina pazienza sul freddo e scuro schermo di un computer.

Ogni tanto il padrone, il signor Paolo, un uomo alto, aitante, con i capelli neri, gli occhi scuri, e con il business nelle vene, entra in ufficio e senza considerarmi, posa sulla scrivania le scartoffie da sistemare e da protocollare.

Il signor Paolo vive una vita alla grande, macchine, donne e soldi.

Almeno così crede ! Va molto fiero di questo, ma la realtà ha altre tonalità di colore. Nonostante il suo ostentare la sua è un’esistenza monotona e normale.

Non una parola, non un fiato, per me.  Solo documenti da decifrare.

Alla fine della giornata il signor Paolo mi rivolge un laconico saluto accompagnato da una frase di rito: ”Arrivederci Sara, ci vediamo domattina”.

Raccolgo la mia borsa, indosso il mio cappotto e torno a casa dopo le solite cinque fermate.

Al pomeriggio mi dedico al mio hobby preferito: la pittura. Esprimo la mia fantasia su stoffe, mobili e porcellane. Mi piace dipingere sui muri e nonostante il suo ostentare su comuni tele. Tutte le pareti di casa mia recano i segni di questa mania, così come qualsiasi oggetto di uso comune, posacenere, vasi, portasapone e credenza. Insomma ogni cosa riporta disegni di colore chiaro in netto contrasto col grigio della mia vita.

Mi piace stare davanti alla finestra quando devo disegnare.

Immagino infatti il disegno completo. Mi prefiguro la forma, il colore, e i pennelli che devo utilizzare, le sfumature e i giochi di luce. Dipingere mi dà soddisfazione. Posso produrre qualcosa di tangibile e concreto.

Tutto il contrario del mio lavoro, in cui l’unica cosa che conta sono le aride cifre e i freddi numeri del computer e dove sono considerata come una figura.

Io conto nel mio lavoro, ma in realtà non conto nulla! Nessuno si è mai preoccupato di chiedermi un parere o un’opinione, tutto procede secondo un ordine stabilito e senza interruzione.

Davanti alle mie stoffe o ai miei oggetti, invece, io posso decidere ed esprimere la mia opinione per ottenere un apprezzabile risultato.

Io immagino che davanti alla mia finestra si estenda un bel paesino olandese, con tutte le case uguali, colorate in tinte chiare e fiori sui davanzali, invece del pericolante muro di mattoni che si erge di fronte.

Sotto penso che ci sia una lunga fila di alberi che segni il limite della strada e non il brutto e incolore vicolo pieno di bidoni per l’immondizia.

Non è una brutta sistemazione quella che ho scelto. Costa poco ed è tranquilla.

Io non ho molti vizi. L’unica cosa che mi concedo è una rivista settimanale

“Viaggi nel mondo”. Di solito la compro il martedì. La metto nella borsa e la leggo la sera. Sfoglio ad una ad una le pagine patinate, passando dalle spiagge caraibiche al deserto del Sahara.

Attraverso quelle immagini posso sognare…immaginare.

Sono cresciuta con la convinzione di essere insignificante. L’aspetto non è cambiato nel corso degli anni. Capelli neri, magra come una palma e una espressione triste. Forse degni di nota sono i miei occhi, verdi smeraldo, rari, come rari sono gli smeraldi.

Il reale però presenta molteplici aspetti. La vita spesso è casualità!

Qualche tempo fa, durante un pomeriggio noioso e monotono passavo davanti a numerosi negozi con vetrine scintillanti della via più frequentata del centro.

Osservai, per caso, un cartello esposto al “Pink Club”che diceva “Cercasi spogliarellista, bella presenza e ottima retribuzione”.

Rimasi a fissare quel cartello, immobile, non ricordo se dieci minuti o un’ora, ( è un dettaglio sbiadito o forse cancellato, in fondo non importa),  poi il proprietario mi invitò ad entrare. Mi diede una significativa occhiata e mi fece voltare su me stessa. Io non percepii alcuna parola. Mi limitai a seguirlo.

Entrai in un camerino con pareti rosse, mi fece accomodare davanti ad un mobile per il trucco sormontato da un grande specchio. Mentre il proprietario, con alcune forcine, mi sistemava i capelli, mi chiese di mettere una diversa tonalità di rossetto. E di indossare un vestito di paillettes blu e rosso che aveva scelto da un appendiabiti.

Sembrava soddisfatto del risultato. Infatti sul suo volto si era disteso in un sorriso di approvazione: ”Va bene…così può andare”.

Quella sera mi ritrovai su un palcoscenico con lo stesso abito di pallettes e un trucco appariscente da attrice. Mi avvicinai alla tenda di lustrini e  sentii la musica coinvolgente, adatta a moventi lenti e voluttuosi, che mi invitava a danzare sulle sue note.

La paura si trasformò in una forte scarica di adrenalina. Mi lasciai andare a quel ritmo e con movimenti lenti arrivai al centro della pista. Ebbe inizio lo spettacolo.

Sentii su di me gli sguardi di tutti gli spettatori, ma in realtà non vidi nulla. Le luci mi abbagliavano.

Tra l’odore acre di fumo e i neons rosa, blu e viola, iniziai a spogliarmi.

Al termine dello spettacolo rimisi i miei abiti e tornai ad essere quella di prima, con la stessa espressione triste.

Uscii dalla porta posteriore per paura che qualcuno mi potesse riconoscermi. Ma chi mai sarebbe stato in grado di dire che quella donna, con la borsa fuori moda, era la stessa donna, che poco prima, si era spogliata della sua immagine?

Io penso spesso alla mia vita…penso a chi sono realmente, l’impiegata zelante o la spogliarellista.

Tutto è strano. La vita assegna i ruoli che abbiamo nei sogni, e come un abile sceneggiatore, trasforma i sogni in realtà.  

E mi piace vivere questa duplice realtà.

Ormai da cinque anni conduco quello spettacolo, non per soldi, né per mantenermi. Lo faccio solo perché in questo modo mi si apprezza, mi si considera, forse per la prima volta in vita mia. Lo faccio per quella carica interiore che ogni sera dà linfa alla mia vita.

Su quel palcoscenico accade quello che ho visto nel sogno…sento di poter camminare in cielo, di giocare sulle nuvole, di specchiarmi nella luce delle stelle, di esplorare il mare, e di sentire il calore del sole…E mi sento libera.

 

(Tiziana Angelino)

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