I giorni dell’ape e del miele

 

Il convegno, nello spazio-incontro della Fiera, era francamente noioso e Vittorio cominciava a non poterne più di sentir parlare di globalizzazione, delocalizzazione, mercati emergenti, crisi finanziaria.

Distrattamente si guardava in giro, nel parterre di donne e uomini d’affari, commercialisti, avvocati, manager, standiste, politici, giornalisti. I convegni erano per lo più così ma qualcuno doveva pur andare e in ditta avevano mandato lui che tra l’altro si era anche occupato della Fiera, dell’allestimento dello stand e di tutte le incombenze finanziarie e burocratiche che comportava. Da anni non disegnava più, pur essendo un ottimo architetto, ma seguiva il settore commerciale: acquisti e vendite, vendite ed acquisti, transazioni, grane, recupero crediti.

Stava pensando di alzarsi con discrezione e dirigersi nuovamente al bar per bere nuovamente un caffè e magari leggersi in pace il giornale quando la vide, là, sul palco dei relatori. Era piccola, minuta ma con lunghe mani affusolate, indossava un tailleur rigoroso nella linea ma decisamente squillante nel colore: un giallo forte e caldo, tra il senape e l’oro antico che contrastava con le calze coprenti nere. Sulle spalle, con nonchalance, portava uno di quei superbi scialli di seta e cachemire, costosissimi, che la sua azienda produceva e che quella di Vittorio commercializzava assieme a tessuti preziosi, veri e propri “oggetti tessili”, disegnati e realizzati da lei, la “creativa” del gruppo.

Lei, Greta, che sembrava una piccola, deliziosa ape bottinatrice così combinata, era un architetto che come lui si era dedicata alla moda. Proveniva da una famiglia biellese di antica tradizione manifatturiera: nonni e bisnonni artigiani del telaio, di etnia walser, una piccola azienda di famiglia, fiorente, che si era aggregata ad un gruppo tessile importante e vi aveva immesso originalità e creatività. Aveva un viso dorato e luminoso che serbava ancora tracce dell’abbronzatura estiva e occhi nocciola da furetto, l’espressione composta e seria e una bella bocca generosa; non era bellissima ma attraente e colpiva soprattutto per i capelli: una massa di riccioli folti, naturali e biondi che catalizzavano la luce e parevano fatti di miele. Li avevano presentati la sera prima, durante il vernissage con cui si apriva il convegno e la mostra di tessuti fatti a mano, da lei, da Greta che ora era lì, sul palco. A sei metri pareva una di quelle studentesse che al mattino intasano gli incroci ma lui l’aveva vista da vicino e qualche segno scuro sotto gli occhi e una certa durezza nell’espressione tradivano la sua età non più giovanissima: doveva avere almeno quarant’anni, qualche anno meno di lui che veleggiava felicemente verso la cinquantina.

Lei parlava lentamente, con una voce squillante che svelava l’accento piemontese, non sorrideva ma riusciva a focalizzare l’attenzione su di sé e sulle diapositive che via via commentava, illustrando i tessuti, le procedure, le tecniche di finissaggio e di stampa, le colorazioni. L’argomento era decisamente più interessante dei precedenti anche se più tecnico e lei era decisamente molto, molto interessante: il tipo di donna “difficile”, in carriera, presa da sè stessa e dal lavoro; quel tipo di donna che non si sa come accostare, con la quale si sbaglia sempre l’approccio o con cui non si tenta nemmeno l’approccio perché pare sempre da un’altra parte, irraggiungibile.

La immaginò al telaio, la schiena tesa, concentrata sul disegno da realizzare, le dita svelte nell’intreccio; o al tecnigrafo, perché lei ancora disegnava a mano, stava dicendo, prima che al computer…aveva bisogno di toccare le lane, le sete, i filati, le pezze, di sentirne la superficie, l’odore, i riflessi dei colori alla luce naturale. La luce delle Alpi Biellesi?

Si sorprese ad immaginare la stanza dove lavorava, in fabbrica, un vasto luminoso locale con vista sul Monte Rosa, pieno di colori, tessuti, matasse, pizzi, ceste di ritagli e campionari e un lungo tavolo da disegno con pennelli e colori e magari la filodiffusione e lei lì, in quel disordine creativo, inginocchiata tra le pezze e le matasse a comporre meraviglie! Ecco, alcune diapositive mostravano l’atelier ed era proprio come lui l’aveva pensato. Dunque, tanto algida non doveva essere se ricircondava di tutto quel colore in modo caotico e poi, con quella bocca…

Si riaccese la luce centrale, Greta aveva finito; un breve applauso l’accompagnò mentre scendeva dalla tribuna e si allontanava con un mezzo sorriso. La seguì. Pensava si dirigesse al bar, invece stava uscendo, evitando il coffee break. La rincorse e la chiamò per nome, un po’ affannato perché lui, al contrario di lei, era alto e corpulento e poco avvezzo all’esercizio fisico.

Lei si girò, interrogativa, “Sì?”

“Volevo complimentarmi per la sua performance e per i suoi lavori, sono un suo ammiratore… posso offrirle qualcosa? Invitarla a pranzo?”

Lei lo guardò di sotto in su, con quegli occhi da furetto:

“No grazie, sto andando a fare una passeggiata… è una giornata così bella ed io ho finito per oggi.

Era vero, la giornata era molto bella, come ce ne sono d’ottobre anche a Milano, quando pare proprio azzeccato il detto manzoniano sul cielo di Lombardia, “così bello quando è bello”: nei viali e nei parchi un trionfo di oro e di rosso e una luce splendente e morbida, avvolgente e serena.

Si avviò con lei senza neppure chiederne il permesso, senza pensare che forse era invadente, che magari lei poteva non gradire la sua compagnia o avere qualche impegno. Ma Greta non diceva nulla, camminava accanto a lui in silenzio, assorta, una donna introversa. Tuttavia quel silenzio, stranamente, non era imbarazzante per lui, abituato, come uomo del Sud, ad una franca cordialità ed a donne più ciarliere. Gli piaceva la riservatezza di Greta e anche quella distanza; quel suo essere concentrata in sè stessa la rendeva intrigante.

Si diressero al Parco Lambro; c’era poca gente e quella cornice da “estate indiana” sembrava fatta solo per loro. Mangiarono tramezzini al chiosco, passeggiarono per i vialetti e infine sedettero per terra, appoggiati ad un tronco d’acero, come ragazzi. E Vittorio si sentiva tornare veramente ragazzo, come quando in bicicletta raggiungeva la spiaggia e la pineta dove aveva qualche appuntamento… Ma era lì e Greta era lì con lui, non diceva niente ma era lì, una piccola ape posata sull’erba stinta. E lui pensò che da anni non si sentiva tanto a suo agio con una donna, sebbene quella donna fosse una perfetta estranea e non dicesse quasi nulla. Si sentiva in compagnia, come se tutto fosse stato già detto, come se lei sapesse già tutto di lui e lui tutto di lei; come se quella fosse una delle tante passeggiate fatte insieme e non la prima e forse anche l’ultima. Lei doveva rientrare a Biella in serata e lui doveva partire il lunedì seguente per la Scozia, per una importante trattativa.

Si trovò a corto di argomenti e nel momento in cui la vide socchiudere gli occhi, offrendo il viso all’ultimo sole del pomeriggio desiderò baciarla e seppe che non l’avrebbe lasciata andare. Poi la baciò e seppe che anche lei non l’avrebbe lasciato andare e che la sua emozione ed il suo desiderio erano condivisi.

“Devi proprio tornare a Biella stasera?” le chiese mentre si alzavano e si avviavano verso l’uscita

“No, non devo rientrare a Biella – rispose lei, drappeggiandosi meglio lo scialle. Cominciava a fare freddo e lui, con gesto protettivo, le cinse le spalle. Non ci fu bisogno di dire altro.

Andarono da lui, in quell’appartamento da single vicino a corso Genova, dove soggiornava tra un viaggio e l’altro e che era diventata la sua casa milanese, con una attrezzatissima cucina perché Vittorio amava mangiare e cucinare e un delizioso terrazzino che dava sulla Darsena.

Lei non parlava né lo guardava, rimanendo assorta nei suoi pensieri mentre lui non riusciva a staccare gli occhi da lei: il volto angoloso, i capelli in cui voleva affondare il viso, quel corpo magro che voleva esplorare, quel seno piccolo che si indovinava sotto la giacca che voleva baciare e quelle mani che voleva su di sé. Voleva che lei lo toccasse, che gli aprisse la camicia e lo accarezzasse, semplicemente…. sentire le mani di lei sul petto, sul ventre e più giù, inevitabilmente. La desiderava così tanto che gli mancava il respiro. E pensare che quella donna non era il suo tipo, così ossuta; lui aveva sempre ambito a donne più mediterranee, con fianchi e seni generosi… eppure era emozionato come mai davanti a quel corpo sottile e a quel viso impenetrabile.

Lei entrò con disinvoltura in casa di lui e rifiutò in un soffio l’offerta di caffè, bibita, cena e quant’altro. Lo guardò e disse solo: “Dopo”.

Vittorio temette di non aver capito bene… pareva persino troppo facile, pareva un sogno… ma era tutto vero: Greta era lì con lui, nella sua camera da letto e si toglieva la giacca e le forcine che trattenevano i capelli, guardandolo seria… e lui non sapeva che fare se non guardarla; poi lei sedette sul letto, si appoggiò alla testiera con la schiena, aprì le gambe e lentamente si sfilò lo slip, alzando la gonna perché lui potesse vedere il suo ciuffo biondo.

“Non è questo che vuoi? Scoparmi?” disse diretta, sorprendendolo.

Lui deglutì, preda dell’eccitazione, nessuna donna gli si era mai offerta con tanta grazia e tanta spudoratezza assieme.

“Se anche tu lo vuoi”

“Tu che dici? – riprese lei, accarezzandosi il pube – lo voglio?”

Vittorio si avvicinò e lei, alzandosi in piedi, con le sue bellissime mani gli slacciò la camicia e quasi gli avesse letto nel pensiero lo accarezzò sul petto e lo baciò a lungo; poi gli aprì i pantaloni, delicata, vi accostò le mani e le labbra ed il suo membro era lì, gonfio di desiderio per lei. Lo riempì di piccoli baci e lo leccò, lo succhiò, si riempì la bocca di lui che la osservava ancora incredulo, accarezzandole i capelli.

Aveva desiderato un incontro lento e rilassato; voleva scoprirla pian piano e farsi scoprire da lei ma l’urgenza del desiderio ebbe il sopravvento. La fece girare e mettere in ginocchio, di spalle e la prese così, rudemente, di colpo, infilandosi dentro di lei con un unico affondo imperioso.

Sentì il corpo di Greta farsi cedevole e contrarsi attorno al suo membro; si sentì accolto e avvolto e desiderato; sentì che anche lei non avrebbe potuto aspettare da come si mosse contro di lui, per sentirlo ancor più dentro di sé. Pochi minuti di una danza frenetica e la sentì venire con un lungo grido di gola e quel calore del corpo di lei che si accentuava era irresistibile. Voleva trattenersi, aspettare, farla godere ancora ma non era possibile; cedette all’emozione e si lasciò andare, inondandola. Gli era capitato raramente di perdere il controllo, anche da ragazzo, di essere tanto rapido ma non c’era stato niente da fare. Era sopraffatto.

Si scusò, imbarazzato, di essere stato tanto brutale.

“Non importa – disse lei – abbiamo tutta la notte… e poi è stato intenso e bellissimo, non pensavo… così…”.

Dunque anche lei si era sorpresa, si era emozionata di quell’intesa fisica perfetta ed istantanea.

Ora erano più calmi e c’era tutto il tempo. Un tempo che passarono a scoprirsi, a guardarsi, a toccarsi, a stare vicini in quella meravigliosa intimità del “dopo” che è così rara.

Avevano trascorso insieme il week-end passeggiando abbracciati lungo i Navigli, curiosando tra le bancarelle di Brera e facendo l’amore. Erano stati tre giorni meravigliosi, i “giorni dell’ape e del miele” diceva Vittorio, perché Greta, la sua piccola ape operosa a letto si trasformava in ape regina, sensuale, golosa, pronta ad ogni gioco; pareva proprio fatta di miele, così dolce ed insieme così spregiudicata.

Era cominciata così, con una passione fisica che si era man mano approfondita ed ora era quasi un anno dal loro primo incontro, dai quei giorni di api e di miele in cui si erano innamorati. Erano entrambi liberi, entrambi divorziati senza figli; avrebbero potuto sposarsi, convivere ma sapevano bene tutti e due quanto la convivenza, la quotidianità logori i rapporti; di come l’amore, la passione, si trasformino presto in qualcos’altro, cioè si esauriscano e diano luogo a tante piccole miserie; di come il desiderio sia un fiore delicato pronto ad appassire, di come l’intesa fisica scivoli nella familiarità e si diventi parenti e amici nel migliore dei casi. Loro voleva essere amanti, mantenere quella magia dei loro primi giorni insieme e vedendosi ogni tanto era possibile. Ogni volta era una sorpresa, come la prima volta, un perdersi e ritrovarsi dove non c’era né noia né abitudine ma solo emozione. E ognuno dava all’altro il meglio di sé.

Greta, aspettando il suo turno, rifletteva su quell’anno trascorso con Vittorio, che si definiva “apicoltore” e chiamava lei nell’intimità “aperegina”. C’era stato un dolcissimo autunno e un Natale gioioso in Calabria presso i parenti di lui e una romantica primavera in mezzo ai rododendri, i loro week-end sulla Serra d’Ivrea e sulle Alpi; i loro incontri a Milano, ore rubate al lavoro, in quell’appartamento di lui che era diventato un po’ la loro casa, con Vittorio che cucinava per lei i piatti della sua terra e la guardava mangiare, adorante.

Facevano sempre l’amore splendidamente e Greta era molto felice. Prima di lui con nessuno era stato così, neppure con l’ex marito, di cui peraltro era stata molto innamorata a suo tempo.

Vittorio l’aveva subito colpita, quel giorno in Fiera; aveva notato come la guardava ed era stata attratta dal suo aspetto virile ed estroverso. Quando le si era affiancato per le vie di Milano, sapeva che prima di sera sarebbero finiti a letto insieme. E le era piaciuto anche il modo rude e frettoloso con cui l’aveva presa la prima volta: l’aveva fatta sentire, per la prima volta, posseduta.

L’aveva desiderato anche lei per tutto quel lungo pomeriggio al Parco Lambro e non avrebbe resistito ai lunghi preliminari cui spesso gli uomini, per galanteria, si sentono obbligati. Lei lo voleva subito dentro di sé e lui l’aveva intuito. E quando era entrato in lei era stato come se nessuno prima l’avesse conosciuta tanto si era sentita riempita, tanto si era sentita colmata. E avrebbe veramente voluto che lui fosse stato il primo; essere ancora ragazza, vergine, per lui.

Per questo era lì, in quella clinica rinomata, perché forse si poteva ancora fare… qualcosa.

Ecco, toccava a lei. La visita fu accurata e quando si fu rivestita il medico le si rivolse sconcertato:

“Signora, qui è tutto a posto; lei non ha mai partorito, non ha cicatrici, il tessuto è tonico… non vedo la necessità di fare un lifting vaginale.”

Greta si spiegò meglio:

“No, dottore, non voglio fare un lifting vaginale ma…”il punto”, la ricostruzione dell’imene”.

Il medico pareva sempre più perplesso:

“Signora, lei ha 42 anni, è stata sposata; nessun uomo di buon senso può pretendere di trovarla vergine”.

Greta taceva ed il medico continuò:

“Si tratta di uno straniero? Un africano? Un orientale? E’ in gioco per caso una causa di annullamento del matrimonio?”

Greta sorrise.

“No, niente di tutto questo. E’ un regalo. Un regalo che voglio fare a lui ed anche a me stessa”.

“Quand’è così… l’intervento è fastidioso ma lo possiamo fare in day hospital con sedazione profonda. Quando però avverrà la deflorazione sarà piuttosto doloroso, una vera e propria lacerazione. Se la sente?”

Greta assentì.

L’intervento in effetti fu fastidioso ma meno di quello che aveva temuto. Dopo due giorni i punti già non davano più fastidio e nel giro di tre settimane tutto era a posto.

Vittorio si trovava negli Stati Uniti per lavoro e sarebbe tornato per fine ottobre. Avrebbero festeggiato il loro anniversario. C’era tempo, tutto settembre, per sognare, immaginare… la loro prima volta! Sarebbe stata una sorpresa originale e bellissima.

L’autunno si annunciò con le prime piogge e le prime nebbie ma Greta adorava la pioggia e passeggiava allegra quel giorno lungo la Darsena, le braccia colme di fiori per adornare la casa di Vittorio per il suo arrivo, previsto per quel giorno e per lei che si sentiva tornata ragazza, con i timori e i tremori di quell’età, con lei che aveva perso la verginità a 18 anni su di un prato della Valsesia con un coetaneo, senza troppa convinzione e che aveva scoperto il piacere con il marito, sul divano di uno chalet sopra Alagna. Ripensò a tutti gli uomini con cui era stata a letto: qualche compagno di università a Torino, qualche collega, qualche storia breve e qualcuna più lunga ma niente paragonato a Vittorio, all’emozione che Vittorio le faceva vivere ogni volta, al piacere anche mentale che sapeva darle, a come amava il suo corpo e lei il corpo di lui, alle sue spalle possenti e a quel membro grosso e duro che le pareva impossibile entrasse in lei così facilmente. C’era una tale sproporzione fisica tra loro!

E venne finalmente sera e Vittorio, ripresosi dal jet leg, la portò a cena sui Navigli. La trovava strana, taciturna come sempre ma inquieta, con una luce febbrile negli occhi. Sapeva che aveva in serbo per lui una sorpresa per il loro anniversario ma proprio non aveva idea di che fosse… Greta era talmente fantasiosa!

Rientrarono presto, fuori cominciava a far freddo e si desiderava l’intimità della casa. Non si vedevano da due mesi e volevano stare soli, godere l’uno e dell’altro e poi c’era questa sorpresa…

Si desideravano come un anno prima, forse anche di più. Greta aveva sempre quell’aura dorata che la faceva sembrare fatta di miele ed il suo corpo sempre magro si era un po’ arrotondato, diventando ancora più sensuale. Gli si offriva ogni volta senza riserve, disponibile a realizzare le sue fantasie più audaci; la loro era una storia molto romantica e molto fisica allo stesso tempo.

Vittorio si era innamorato subito di lei, la sera stessa del convegno, quando Greta gli si era data senza patteggiamenti, senza giri di parole, senza costringerlo ad un lungo ed ipocrita corteggiamento, quando l’aveva accolto in sé con tanta naturalezza, quando l’aveva sentita godere di lui e con lui.

Solo a pensarci si sentiva fremere… la desiderava… sentiva sempre la stessa urgenza con lei. Subito. Doveva prenderla subito.

Greta aveva acceso candele profumate e si stava dirigendo verso il bagno ma Vittorio la fermò e la sospinse verso il letto. Come quella prima sera lei gli si mise di fronte, gli slacciò la camicia e lo accarezzò con le sue belle mani e poi scese più giù, gli slacciò i pantaloni e con fare malizioso gli prese il membro in bocca, delicatamente. Ma Vittorio non poteva aspettare e in genere non era uomo da lunghi preliminari. Greta lo sapeva… anche lei era pronta… si stese supina e allargò le gambe, mostrandosi a lui, sfrontata. Non portava biancheria e questo aumentò il desiderio di lui che in un balzo le fu sopra, in ginocchio sul letto. La prese così, penetrandola di colpo, con un affondo rapido, come era solito fare. Sentì una resistenza inaspettata e la tensione di lei e il grido, di dolore, che le sfuggì.

“Ma che…” la guardò e comprese: quella era la sorpresa! Greta! Greta! Greta!

Il corpo di lei cedette, dolorosamente, ed una macchia rossa dilagò sul lenzuolo. Si sentì sopraffatta da un colore acuto e poi da un dolore sordo; man mano però il dolore sfumava, c’era il piacere e c’era Vittorio, dentro di lei che ora si muoveva pian piano, facendosi strada fino al suo cuore.

 

(Silvana Abbiati)

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